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Veronica Ferrari: è di Calceranica una delle finaliste del Premio Fabrizio De André


Veronica Ferrari, 49 anni, di Calceranica al Lago, è finalista del Premio Fabrizio De André indetto dalla omonima Fondazione. Il Premio ha come scopo di stimolare una creatività libera e scevra da tendenze legate alle mode, ai generi e ai concetti di commerciabilità, al fine di favorire l’originalità e la vitalità delle nuove produzioni artistiche.

di GIUSEPPE FACCHINI

Il Premio è suddiviso in tre categorie: musica, pittura e poesia ed è proprio in quest’ultima sezione che Veronica è stata ammessa alla finale che si svolgerà a Roma in primavera. Il Premio si avvale di una giuria costituita da scrittori, giornalisti, critici musicali ed operatori del settore, presieduta da Dori Ghezzi.


Veronica, ci parli di te?

«Mi sono diplomata all’Istituto d’Arte di Trento e lavoro come assistente educatore a Casa Serena di Cognola e sono mamma di una ragazza di 22 anni, Marianna. La cultura mi ha sempre appassionato in tutti i campi, dal cinema alla pittura, dalla poesia alla musica. Quando ero adolescente già scrivevo poesie, come tanti altri giovani, su temi legati ad esperienze personali. Era un modo di esprimermi, come un diario. E scrivo ancora, quando sento qualcosa da esprimere e questo nasce naturalmente, se dovessi scrivere per forza non ci riuscirei, deve nascere da una esigenza mia personale. Non posso scrivere a comando, scrivo quando ne ho proprio la necessità di buttare fuori qualcosa. Sono sempre attenta su quello che succede, ho interesse per i temi sociali e politici, non solo nel senso classico, perché la politica è anche nel tuo lavoro, nella tua vita. Come diceva De André, se tu non ti interessi della politica sarà lei a interessarsi a te».


Com’è nato l’interesse verso l’opera di Fabrizio De André?

«Ascoltavo le sue canzoni con mio zio Sergio, poi a 15 anni ho comperato una cassetta con le sue canzoni e subito mi è piaciuto. Sono una vera fan, sia del periodo prima che dopo la PFM, col tempo ho comperato tutti i suoi dischi, ho letto i suoi libri, ho visto tanti suoi concerti. Credo che lui sia stato un vero poeta. Due anni fa ho visitato per passione e curiosità la sua tenuta a Tempio Pausania in Sardegna. Mi è spiaciuto perché quello che lui aveva messo insieme come la fattoria degli animali non c’era più. La sua casa non è più un agritur a prezzi modici, ma è diventato una boutique-hotel. Comunque sia il posto è bellissimo in mezzo al niente, la tenuta è enorme con tanti boschi, e vi sono costi molto alti per gestire il tutto e in ogni caso è stata una cosa emozionante perché entri direttamente a casa sua. I ragazzi che ne hanno la gestione, vista la mia passione, mi hanno permesso di mangiare nella sua cucina e ho visto la sua camera che è rimasta intatta, esattamente com’era quando c’era lui».


L’idea di partecipare al premio?

«Quasi per caso. Ho scambiato alcuni testi con un mio amico. È rimasto colpito da una poesia in particolare. Qualche giorno dopo ho visto sui social la possibilità di iscriversi al concorso che è arrivato alla 19esima edizione e ho inviato due poesie».


Vi erano dei canoni da rispettare sul materiale inviato?

«Le poesie non dovevano riguardare temi alla moda ma, come preferiva Fabrizio, qualcosa di originale e di personale. Nel mio lavoro sono entrata nel reparto Covid, ho trascorso due mesi molto impegnativi a novembre e dicembre, quasi non pensavo più al concorso. A sorpresa mi arriva la notizia che sono tra i 12 finalisti del Premio. La finale doveva svolgersi in questo periodo ma è stata rinviata alla primavera per fare uno spettacolo con concerto dal vivo a Roma».


Quali sono le due poesie?

«La prima è “Oplà” ed è frutto di un esperienza personale di gioventù, la seconda “I minatori” è sul tema del lavoro, una critica, una poesia sociale. Mi rispecchiano molto e sono molto diverse una dall’altra. Verranno pubblicate dopo la finale».

Tra le opere di De André, hai qualche preferenza?

«Mi piace un po’ tutto, ma in particolare l’album “La buona novella”. Nonostante io sia quasi atea apprezzo come abbia umanizzato la situazione e le persone in maniera perfetta, partendo da Maria, mi piace la canzone “Tre madri”. Mi piace anche tutta la produzione in genovese. De André non è mai stato commerciale e merita di essere studiato a scuola».






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