di EMANUELE PACCHER
Oggi 8 febbraio è il compleanno di Chico Forti, il trentino ex campione di windsurf in carcere da 24 anni in America con l'accusa di aver ucciso un uomo nel mese di febbraio 1998. Un delitto che Chico ha sempre negato di aver commesso, nonostante la condanna all'ergastolo sulla base di prove che all'epoca a molti parvero granitiche e che invece nel corso degli anni, grazie anche a trasmissioni come "Le Iene", sono state smontate fino a far nascere in tanti la convinzione che si tratti di un clamoroso errore giudiziario. Ciò nonostante, e benché nel 2020 il governatore della Florida abbia aperto alla possibilità di trasferire il detenuto in un carcere italiano, Chico Forti, ancora una volta, festeggia il suo compleanno in una cella oltreoceano...
A distanza di circa un anno e mezzo dalla mia visita in carcere a Chico Forti – avvenuta il 19 agosto 2022 – avrei sperato di non dover tornare sulla sua triste vicenda. O, quantomeno, di farlo per altri ben più lieti motivi.
Invece ci ritroviamo ancora oggi a dover parlare di un caso che, giorno dopo giorno, diviene sempre più critico, sia per l’incedere dell’età, sia per la sensazione di ingiustizia che si prova di fronte a una vicenda così bloccata e profondamente umana, di cui occorre continuare a parlare e scrivere per non far calare un pericoloso silenzio sulla vicenda dell’ex produttore e velista italiano rinchiuso in un carcere americano da 24 anni.
Ne voglio parlare ricordando innanzi tutto ciò che provai il giorno che incontrai Chico in carcere, rispolverando dalla memoria alcuni frammenti di vita.
Un’emozione forte, che mi faceva tremare le gambe. Non avevo mai fatto visita a un carcerato, e non avevo idea di cosa potesse provare un uomo che per più di 20 anni veniva privato della libertà personale, il bene più prezioso al mondo.
Chico mi colpì per la forte personalità che stonava con l’ambiente circostante: il Miami Dade Correctional Institute è un vero e proprio carcere da film americano, con molto filo spinato all’esterno e molto grigio all’interno.
Se anche dopo un po’ di tempo – la mia visita durò in tutto 4 ore e mezza – sembrava di essere in un ambiente “normale”, era sufficiente l’entrata nella grande stanza di un nuovo carcerato (legato mani e piedi con le catene) a farti tornare con i piedi per terra. In America, forse, fanno fatica a capire cosa sia l’umanità, tantomeno se si parla di una pena.
Di quella intensa giornata mi rimarrà sempre in mente il coraggio di Chico Forti, la sua passione per il Trentino – terra che nelle lunghe notti sogna ancora, immaginandosi anche il sapore, ormai sempre più sbiadito nei ricordi, dei canederli – nonché la sua incredibile capacità di scrutare il mondo esterno.
Mi viene in mente soprattutto una sua frase, dopo che mi chiese dove alloggiassi: «Ora Miami non è più quella di una volta, tante cose sono cambiate». Una frase normale per un abitante o per un turista, molto più sbalorditiva per un uomo che può solo immaginare, informandosi con i pochi mezzi che ha a disposizione, come sia il mondo all’esterno delle sue mura.
Una mente attenta e vigile su tutto, anche sulla politica. Conosceva e conosce per filo e per segno gli attori politici italiani e americani.
È attentissimo sui programmi, sulle leggi in approvazione, sulla situazione sociale di un Paese.
Di quell’incontro mi rimarrà poi il suo sogno, il più grande di tutti: il ritorno in Patria, per riabbracciare l’amata madre che da anni non vede.
Le domande che mi assillano sono rimaste più o meno le stesse: perché non concedere l’estradizione a Chico Forti?
Ammesso e non concesso che sia colpevole, un quarto di secolo di carcere duro non è stato sufficiente? Quanti anni servono ancora? Ventiquattro anni di privazioni, di impossibilità o quasi di comunicare con il resto del mondo – Chico può effettuare una sola chiamata a settimana, per la durata di 5 minuti – di impossibilità di salutare i propri cari, prima tra tutte proprio sua madre, oggi 96enne.
Che pena deve espiare ancora un uomo? Negare l’estradizione a Chico Forti – che in Italia dovrebbe comunque scontare la pena, ma all’interno di un sistema giudiziario più umano – sembra essere per davvero un atto di pura crudeltà, di cui non se ne comprendono le ragioni. Il suo ritorno in Italia mi sembra sempre più, giorno dopo giorno, un atto dovuto, giusto, umano.
Non sono l’unico a pensarlo. Qualche giorno, infatti, ho parlato del "caso Forti" con il tenore Andrea Bocelli e con sua moglie Veronica Berti, i quali da alcuni anni hanno stretto una forte amicizia con Chico Forti.
«Siamo andati a trovarlo la prima volta due anni fa – ci raccontano i coniugi Bocelli – nel giorno del suo 63esimo compleanno. Siamo stati con lui alcune ore e ascoltandone la complessa parabola esistenziale dalla sua viva voce si è subito instaurata una profonda empatia. Ne è nata un’amicizia bella e autentica, basata sulla stima e sulla fiducia reciproca».
Una causa, quella di Chico, per la quale sono stati in tantissimi a mobilitarsi, come ricorda Andrea Bocelli: «Abbiamo sentito l’obbligo morale di dar voce a chi non ha voce. Non siamo i soli: abbiamo agito nel solco di altri artisti, intellettuali, giuristi, sacerdoti, politici e persino del Santo Padre, che si sono mossi, pubblicamente e attraverso canali diplomatici, affinché questa penosa disavventura si concluda positivamente. Abbiamo fatto la nostra parte, avendo il privilegio di poter incontrare, grazie alla nostra attività artistica internazionale, alcuni tra i più importanti personaggi politici, anche oltreoceano».
Tanto è stato fatto, ma forse non abbastanza. «È l’evidenza stessa dei fatti a rammentarci che, a oggi, quel tanto non è ancora abbastanza» osserva Veronica Berti.
Tra i ricordi dei coniugi Bocelli prevale anche per loro l’aspetto umano. «Chico è un uomo provato, naturalmente, ma che nonostante la propria condizione di segregazione non rinuncia alla vita, alla speranza, alla creatività e anche – per quanto gli è possibile – al proprio ruolo di padre affettuoso», ricorda Bocelli.
«Uno spirito che, malgrado tutto, non è stato piegato dagli eventi. La sua biografia di atleta, di campione e imprenditore di successo, testimonia come non si fermi di fronte alle sfide più complesse. La più estrema delle quali, purtroppo e suo malgrado, dura ancora».
Per il futuro la speranza è ben chiara, come afferma Veronica Berti: «Andrea e io – e, come noi, tantissime persone italiane e non – ci auguriamo che dopo quasi un quarto di secolo in carcere (condannato come è noto per un omicidio per il quale si è sempre dichiarato innocente), Chico Forti possa beneficiare di tale risoluzione già siglata, e così tornare in Italia, anche per poter riabbracciare sua madre prima che sia troppo tardi».
Di Chico Forti i coniugi Bocelli si sono fatti un’idea ben precisa: «Chico è un uomo brillante, una persona positiva e per bene cui è stato sottratto, da quasi un quarto di secolo, il bene più prezioso: la libertà. Limitazione che è tanto più devastante, quando perpetrata ai danni di uno spirito, come in questo caso, vivace, volitivo, sensibile, nobile».
Intanto, però, l'8 febbraio Chico Forti ha trascorso dietro le sbarre anche il suo 65° compleanno. E, purtroppo, rischia anche di non essere l'ultimo.