Classe 1758, Domenico Antonio Santuari affrontò le truppe francesi che invasero la val di Cembra e l’Altopiano di Piné tra il 1796 e 1797, divenendo un’icona della resistenza locale e ottenendo i più prestigiosi riconoscimenti imperiali da Vienna. Lo storico Roberto Bazzanella ci accompagna attraverso quei turbolenti anni...
di NICOLA PISETTA
Il Trentino si è spesso ritrovato, durante la storia moderna europea, nel mezzo delle dispute internazionali tra stati ed eserciti: la sua frontiera fisica e politica era l’elemento in grado di rompere, d’improvviso, una pace durevole e quando la miccia scoppiava, un terreno, urbano e valligiano, poteva seriamente trasformarsi in un teatro ostile e sanguinoso. Fu così, tra i vari eventi occorsi, per la val di Cembra e l’Altopiano di Piné negli anni ‘90 del ‘700: gli sconvolgimenti partiti dalla Rivoluzione Francese del 1789 portarono ad una fase, verso la fine del secolo, di profonda incertezza nel continente. Le monarchie, nei confronti della nuova Francia repubblicana, si sentivano pesantemente minacciate dal rischio di un susseguirsi di eventi analoghi ai fatti francesi e l’avanzata delle truppe napoleoniche, con l’intento di esportare la nuova missione rivoluzionaria fuori dai propri confini, schiacciava di fatto la sovranità di alcuni dei territori più longevi: la potente e secolare Serenissima di Venezia, per esempio, scomparve definitivamente nel 1799 e il Principato Vescovile di Trento, corridoio alpino tra l’Italia settentrionale e il Sacro Romano Impero, venne ufficialmente cancellato dalla mappa nel 1803.
Tutto iniziò nel 1796: a maggio Pietro Vigilio Thun, l’allora Principe Vescovo di Trento, fuggì a Passavia, in Baviera, e il 5 settembre Napoleone si insediò nel Castello del Buonconsiglio.
Il Trentino orientale, in seguito, fu oggetto degli interessi strategici e geopolitici degli invasori: la Valsugana, come principale via di collegamento geografica tra Trento e il Veneto; l’Avisio, come sbocco alternativo di sfondamento verso il nord asburgico.
La valle di Cembra, quindi, divenne l’ennesima preda delle truppe francesi e il 2 novembre 1796, a Piazzo (frazione di Segonzano), si aprì uno scontro tra le forze regionali tirolesi del gruppo degli Schützen (i Difensori) e quelle nazionali francesi: la resistenza dei primi, che riuscirono a respingere gli attacchi e a spingere gli avversari ad una prima ritirata, nulla poté in definitiva dinanzi alla maggioranza schiacciante dei secondi che arrivarono, a marzo 1797, ad occupare l’intera val di Cembra e Piné. Avanzando verso l’alta Val di Cembra, appoggiandosi nel frattempo anche su Piné, i francesi affrontarono all’inizio del 1797 gli uomini del capitano Domenico Santuari sul dosso del Colbìs, una piccola montagna che sovrasta gli abitati di Brusago e Montepeloso: nonostante la sconfitta, Santuari divenne uno dei simboli della resistenza tirolese e fu emblematica la sua corsa, tra i nemici, per salvare la bandiera del reparto militare di una Compagnia Schützen nord tirolese, ancora oggi conservata a Montesover. Roberto Bazzanella, storico di Pergine Valsugana e originario di Sover, ci ricostruisce la storia.
Bazzanella, quali erano le pretese degli invasori francesi nei confronti dell’Austria?
«La Francia del 1796 era nel turbine della Rivoluzione scoppiata nel 1789 e terminata nel 1799: da un punto di vista ideologico voleva esportare il motto “Liberté, Egalité, Fraternité” nei territori monarchici dell’Ancien Régime (l’Antico Regime), su tutti il Sacro Romano Impero rappresentato dagli Asburgo. Da un punto di vista finanziario, doveva invece dare sfogo alla sua crisi economica e agricola. Conquistare Vienna era d’importanza vitale per la nuova missione e Trento, col Tirolo, era quindi un percorso obbligato».
Perché la Francia dovette tentare uno sfondamento in val di Cembra?
«Dopo il superamento di Trento, i francesi trovarono una certa resistenza tirolese nella valle dell’Adige e il passaggio attraverso la direttrice principale verso il Brennero non era così scontato. La val di Cembra era, quindi, l’occasione per sfondare a lato».
Cosa rappresentò, per i tirolesi e per i francesi, la Battaglia di Piazzo del 2 novembre 1796?
«Per gli Schützen fu una vittoria, la più importante della campagna napoleonica lungo l’Avisio. Erano uniti, nello sforzo bellico, dalle compagnie di diverse provenienze: locali, di altre vallate trentine, di Bressanone e della Contea del Tirolo. Presso il castello di Piazzo, i francesi si ritirarono ordinatamente, anche perché il fronte cembrano non appariva, in quel momento, come un punto di scontro importante: il grosso dell’esercito napoleonico era concentrato altrove. I francesi, dato anche l’inverno in arrivo che lasciò l’intera disputa in sospeso, scelsero quindi di temporeggiare».
Quale fu il ruolo dell’Altopiano di Piné?
«Fungeva, praticamente, da retrovia e appoggio per le truppe francesi. Piné fu lo spazio nel quale erano diffusi i viavai di avanzamenti e di ritirate da e per Civezzano fino a Bedollo e verso Cembra attraverso la valle del Rio Regnana, dove sorgono la Cascata del Lupo e le Piramidi di Segonzano. Quella di maggiore interesse, soprattutto, fu l’area alta dell’altipiano, tra Brusago e Valcava: sfondandola, si sarebbe aperto un corridoio verso nord attraverso il Ponte de la Rio, nel fondovalle tra Sover e Grumes, e verso Fiemme attraverso Capriana».
Montesover era appartata, all’epoca, rispetto ai grandi movimenti?
«Il nostro sguardo moderno direbbe che i villaggi come Montesover potevano risultare “tagliati fuori” dal grande circuito alpino: all’epoca, però, non era così. Sover e Montesover sono geograficamente situate lungo una delle rotte trentine tra il mar Mediterraneo e l’Europa Centrale e nella storia erano molto trafficate in quanto punto di collegamento tra la val d’Adige e la valle di Fiemme attraverso, appunto, l’Avisio e Piné. Montesover, non a caso, possedeva il codice del 1511 che regolava la Difesa Territoriale e codificava gli obblighi della comunità e, data l’esposizione, permetteva che l’iniziativa personale di un notabile del luogo fosse comunque fondamentale».
Chi era Domenico Santuari?
«Santuari era una persona di rilievo sul territorio di Sover: era nato e cresciuto a Montesover ed era di estrazione piuttosto benestante. Apparteneva ad una delle famiglie più antiche della Magnifica Comunità di Sover: il suo cognome viene citato per la prima volta nel 1548 e deriva dal fondatore Antonio “Saltar” o “Saltuar”, da “Saltaro”, ossia “guardia di campagna” e a Montesover è attestato solo nel 1700. Le contrade locali, alla fine del ‘700, godevano di un proprio retaggio militare-difensivo: ogni capofamiglia aveva una certa formazione, specie nel tiro al bersaglio, e anche Santuari fu addestrato. La preparazione ad un’eventuale guerra fu resa possibile sin dal 1511, anno in cui Massimiliano d’Asburgo aveva codificato in un documento la possibilità di costruire un apparato volto all’autodifesa per le comunità della Contea del Tirolo, Trento e Bressanone. In caso di attacco alla regione, i capifamiglia si sarebbero organizzati nei cosiddetti corpi delle “Compagnie di difensori”, gli “Schützen”, volti a respingere l’invasore. L’attacco del 1797 avvenuto a Brusago non fu inaspettato: già mesi prima, nel 1796, Sover venne difesa dalle compagnie della val di Fiemme, Cembra e di altre vallate del Tirolo e si verificò, a settembre, una sollevazione di massa tra le comunità di Sover e Valfloriana, evento che valse alla collettività dei due territori la Medaglia d’Oro dell’Impero. Santuari, a dicembre, prese l’iniziativa per formare una sezione Schützen locale: dalla sede del Consiglio Imperiale di Difesa di Bolzano, però, non prevaleva la legge marziale. Il Tirolo, infatti, era ancora ufficialmente in epoca di pace ma Santuari ricevette, comunque, le lodi per l’iniziativa».
In un solo mese l’ago della bilancia per il futuro del Tirolo si trovava a Brusago…
«Data l’incolumità a rischio degli abitanti, Santuari poté comunque organizzare il suo esercito. Il tempo stringeva e l’inizio del 1797 fu caratterizzato da una battaglia, tra Piné e Sover, distribuita su varie fasi con Brusago e Cembra che simboleggiavano i due centri d’interesse per Napoleone. Domenico Santuari radunò rapidamente gli uomini di Sover, di Montesover, dei masi alti adiacenti, di Piscine e di altri centri della valle di Cembra. Venne coadiuvato, per le reclute, dal tenente Andrea Bazzanella e poté, inoltre, assicurarsi l’appoggio della Compagnia di Fiemme del Maggiore Sighele. Santuari fu subito eletto Capitano, un titolo che lo caratterizzerà a vita e che diverrà in futuro il soprannome di famiglia. A febbraio, quindi, i francesi scatenarono tutta la propria aggressività sul Dosso del Colbìs (o Galbìs). Ancora oggi, sul luogo, si possono trovare i segni delle trincee e dei ripari dell’epoca. Alla fine, i soldati di Napoleone riuscirono a sfondare e famosa è la frase, che si dice essere gridata da Santuari: “Zarà zarà: chi può salvar si salvi”».
Fu lì che Santuari trasse in salvo la bandiera, memoria odierna della battaglia?
«Sì, proprio presso il Doss del Colbìs. Il Capitano riuscì a salvare la bandiera di una Compagnia di difensori del Nord Tirolo e si racconta che rischiò non poco la vita dinanzi ai nemici d’Oltralpe: da quel momento divenne il vessillo della Compagnia dei difensori “sizzeri” di Sover. Nel 1909 la bandiera fu decorata ad Innsbruck dallo stesso imperatore Francesco Giuseppe, durante la commemorazione del centenario della rivolta anti bavarese del 1809 e più tardi, con non poche traversie, la famiglia del Capitano la donò alla parrocchia di Montesover, dov’è ancora oggi».
Santuari terminò la sua attività militare?
«No. Forte dell’esperienza acquisita a Brusago, partecipò ad altre campagne: alle guerre francesi del 1801 e, soprattutto, alla rivolta del 1809, guidata dal famoso Andreas Hofer, contro i francesi e i bavaresi. In questa occasione, da Sover, giunse a combattere con altre decine di uomini compaesani e con la presenza di una donna, Maddalena Dallavalle. Per le azioni furono decorati, con Medaglia al valore, dall’allora imperatore asburgico Francesco I, con una menzione particolare al Capitano. Santuari è uno dei pochi personaggi storici della Comunità locale, prima dell’avvento della fotografia, di cui conosciamo la sua faccia: il suo ritratto, in divisa, fu prodotto ad olio».
Il Trentino ha oggi un suo Andreas Hofer?
«In realtà ci sono diversi nomi che emergono: dipende dalle vallate trentine di riferimento. Il Capitano Domenico Santuari per l’Alta val di Cembra, il Maggiore Antonio Sighele per la val di Fiemme e Giuseppe Miller per la val di Non. Ci sono anche donne e tra queste spicca il nome di Giuseppina Negrelli, dal Primiero. L’oste della val Passiria, Andreas Hofer, è comunque il simbolo di un’intera regione storica che parla tedesco, italiano e ladino: purtroppo, oggi, complici i nazionalismi novecenteschi, la figura di Hofer viene associata al solo Sudtirolo germanofono, quando in realtà è più corretto parlare di un simbolo pantirolese di estrazione germanica e latina. Il territorio tirolese allora era ampio, andava dalle pianure bavaresi al Lago di Garda e Santuari, con la sua Compagnia, in quello storico 1809 girò la regione: partì da Sover col compito di difendere i confini dell’estremo sud verso Vicenza, per poi combattere a Bressanone e presenziare gli scontri di Innsbruck. Ci sono, quindi, diversi piccoli eroi di vallata, i quali trovano una propria unità collettiva nel nome di Andreas Hofer».
Domenico Santuari, dopo anni di violenze e saccheggi francesi anche ai danni dei civili cembrani e pinetani, fece in tempo ad assistere all’inizio della Pax Britannica europea: dopo essere tornato a casa, chissà come venne a conoscenza della sconfitta di Napoleone contro il Regno Unito a Waterloo, il 18 giugno 1815; chi gli portava le notizie provenienti dal Congresso di Vienna del 1814-15, il momento in cui si vollero restaurare gli equilibri internazionali antecedenti alla Rivoluzione Francese; chi gli riferì, infine, della morte di Napoleone, sull’isola atlantica di Sant’Elena, avvenuta il 5 maggio 1821...
Domenico Santuari morì, a 72 anni, il 2 febbraio 1831.