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Il vertice sul clima di Dubai ha suscitato qualche speranza...





di ROBERTO BERNARDINI*


Lo scorso dicembre a Dubai si è tenuta la 28ª “Conferenza mondiale per il clima” delle Nazioni Unite. Un'intesa che fa acqua da tutte le parti come qualcuno ha sostenuto? Non del tutto! Ecco perché... 


Lo scorso dicembre si è tenuto il 28°round della “Conferenza mondiale per il clima” delle Nazioni Unite a Dubai. 

La cosiddetta Comunità internazionale, accortasi dei disastri prodotti anche dallo sviluppo industriale incontrollato dell’ultimo secolo, si sta preoccupando di porre qualche rimedio. 

La "COP-Conferenza delle Parti" è il più importante incontro annuale tra le nazioni aderenti all’ONU per affrontare il tema del cambiamento climatico. 


LA PRIMA CONFERENZA si è tenuta nel 1992 a Rio de Janeiro. In quell’occasione fu firmata una "Convenzione sul clima" che avrebbe impegnato ciascun Paese a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. L’accordo approvato, denominato “UNFCCC-Convenzione quadro sui cambiamenti climatici”, è entrato in vigore nel 1994, ed è stato poi ratificato da 195 Paesi, detti “Parti della Convenzione”.

Parliamo quindi del clima e delle variazioni climatiche, del surriscaldamento del pianeta e dei disastri ambientali che l’aumento delle temperature sta già provocando con l’insorgere di eventi meteorologici disastrosi. Questi effetti negativi influiscono pesantemente soprattutto sull’economia dei Paesi più vulnerabili. 

Dal 1992 ad oggi, 27 sono state le COP organizzate dall’ONU, tappe che hanno fissato due obiettivi di base: il primo è ridurre le emissioni di gas serra, il secondo individuare chi debba pagarne i costi. 


UN IMPEGNO CHE se fosse stato assolto come promesso avrebbe già portato a buoni risultati. 

Purtroppo non è stato così pertanto molti degli auspici iniziali della Convenzione di Rio sono stati disattesi. 

Dobbiamo riconoscere che da parte delle nazioni maggiori non c’era stato un grande impegno al riguardo quando la loro crescita industriale era inarrestabile e non sopportava limitazioni. 

Oggi “i ricchi” vorrebbero imporre ai Paesi emergenti una disciplina incompatibile con la loro cronica mancanza di risorse. Da qui la necessità di finanziare la loro transizione fuori dai fossili. Vedremo.

Tra le COP più significative ricordiamo quella di Kyoto del 1997 e quella di Parigi del 2015 vera e propria “pietra miliare” nella quale è stato raggiunto l’accordo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2ºC rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. 


CIÒ PREMESSO, veniamo all’attualità di questa COP28 tenutasi negli Emirati Arabi Uniti (EAU) e vediamo cosa è stato discusso e poi deciso.

A Dubai si è negoziato un piano di lavoro che comprende tutte le opzioni dal semplice divieto di nuove centrali a carbone fino alla rinuncia a tutti i combustibili fossili perché si è dovuto riconoscere che siamo ancora ben lontani dall’obiettivo 1,5C° della citata COP di Parigi. Continuando di questo passo, veramente lento, gli studiosi si chiedono «…di quante COP avremo bisogno per raggiungerlo?».

Ogni anno si registrano nuovi massimi di temperature e il 2022 è stato il più caldo a memoria d’uomo con perdite nella biodiversità e diminuzione dei terreni fertili per molti popoli. 


IL "MAIN PROBLEM" COP28 era comunque la transizione energetica. In questa filiera strategica, come ci ricorda l'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), quattro erano gli obiettivi fondamentali.

Il primo impegnava l'UE ad elaborare un progetto per eliminare gradualmente l'uso dei fossili, carbone, petrolio e gas. 

Il dilemma è rimasto sul “quanto gradualmente” come chiedono i Paesi produttori e soprattutto quelli in via di sviluppo legati solo a queste risorse per la loro crescita economica.

GLI AUSPICI PRE-COP erano quelli di raggiungere un accordo ambizioso che comunque non c’è stato come diremo.

Il secondo obiettivo era quello di mobilitarsi per coinvolgere nel problema la periferia del mondo, dando spazio anche ai delegati dei piccoli Stati insulari dove vivono ancora popolazioni indigene. Obiettivo facile, tutto sommato raggiunto.

Il terzo obiettivo, sostanziale, era quello di ottenere consistenti finanziamenti dai Paesi ricchi per fronteggiare i disastri ambientali sempre più frequenti.

Il quarto obiettivo, questo veramente cruciale, riguardava il «sostegno finanziario agli Stati per sostituire con altre fonti di energia i combustibili fossili»

Per trovare questi fondi, di difficile reperimento nei bilanci ufficiali, si sono auspicati interventi da «fonti pubbliche ma anche private e filantropiche a livello nazionale e internazionale».


SE L'OBIETTIVO ERA “essere ambiziosi” possiamo dire che con questa lista lo si è raggiunto, a parole ovviamente. Ma nella realtà…

Anche il livello di partecipazione alla COP28 dei Capi di Stato e di Governo non è stato del tutto soddisfacente. 

Si sono registrate alcune assenze significative, da quella del Papa a quelle dei principali attori mondiali: il presidente americano Biden, impegnato nella campagna elettorale presidenziale, e il leader cinese Xi Jinping.

Ma possiamo capirlo. Anche se Biden appena eletto presidente “rientrò nella comunità mondiale del clima” dalla quale il suo predecessore Trump era platealmente uscito, è vero che i sondaggi presidenziali del 2024 privilegiano Trump e allora opporsi ai suoi diktat sul clima, tuttora ribaditi, potrebbe essere per Biden penalizzante in termini di voti. Basso profilo personale. 

A Dubai si è cercato di conciliare le varie posizioni sulla monetizzazione dei danni, rilevanti nei paesi poveri, causati da tempeste e inondazioni, siccità e carestie e dall'aumento del livello degli oceani dei mari.

Le attese erano indirizzate al finanziamento (occorre ripeterlo, quasi esclusivamente nella responsabilità dei Paesi ricchi e…tirchi ) del fondo di 100 mld-USD per anno, già definito ma non finanziato nella precedente COP27 e dedicato ai Paesi più colpiti dall'emergenza climatica ma meno responsabili del suo verificarsi.

Una scelta che almeno riconosce le conseguenze della crisi climatica e il diritto ad una compensazione.



L'ITALIA, come già fatto da EAU e Germania, ha annunciato che il nostro Paese stanzierà 100 milioni di euro per il fondo. Per una volta siamo al pari dei ricchissimi!!!

Sono comunque briciole nella ciotola. Ben altre sono al riguardo le aspettative. Tutti attendono gli impegni concreti dei grandi emettitori di gas che altera il clima (come Cina e India, USA e UE, Russia e Giappone) che  secondo i dati ISPI «con il 49,2% di popolazione mondiale complessiva consumano il 66,4% di combustibili fossili e producono 67,8% delle emissioni globali di CO2 fossile».

Tutti hanno espresso questa volontà ma non dimentichiamo che sul conseguimento di questi risultati influisce, e molto, la situazione geopolitica internazionale. 

Danneggiano il clima, per esempio, i due conflitti principali in corso, guerre in Ucraina e in Palestina, che diffondono nell’atmosfera non solo CO2 ma anche altre letali emissioni.

Le difficoltà poi connesse con le sanzioni internazionali alla Russia, hanno indotto molti Paesi a riaprire le centrali a carbone e gasolio per produrre energia elettrica. 

Di fatto c’è stata una sospensione della “decarbonizzazione” iniziata dopo l'accordo di Parigi. 

Quindi già una deludente controtendenza che ha impedito alla COP28 di registrare impegni concreti e condivisi per le misure da adottare.


MA APRIAMO le finestre dai palazzi di Dubai e diamo uno sguardo al clima del mondo. 

Ci si rende subito conto di quanto tempo sia stato stupidamente perso vedendo montagne di ghiaccio alla deriva negli oceani destinate a sciogliersi. 

Nel solo 2019 sulle coste di Terranova è stato osservato il transito di circa 1500 iceberg provenienti dalla Groenlandia.

Lo sbalzo termico oggi prodotto, atteso per il 2070, è anticipato di quasi 50 anni. 

Siamo nel 2024 e ci rendiamo quindi conto della gravità delle situazioni che dovremo affrontare.

Richiudiamo la finestra e torniamo nelle sale di riunione, e concludiamo con un’analisi dei risultati della COP28.

Un accordo è stato comunque raggiunto, un po’ sfocato rispetto alle aspettative ma pur sempre qualcosa di concreto. “Scripta manent” e questo è un buon risultato.


NEL TESTO SI invitano le parti  a rinunciare gradualmente all'uso di combustibili fossili per la produzione di energia cercando così di raggiungere lo zero emissioni entro il 2050, come ha raccomandato la scienza. 

Purtroppo mancano nel testo sia riferimenti chiari sui finanziamenti sia una data per la “fine fossili”: e questo è un vulnus non irrilevante.

Un'intesa quindi che fa acqua da tutte le parti come qualcuno ha sostenuto? Non del tutto!

Quello raggiunto a Dubai è «il compromesso storico necessario per coinvolgere anche i Paesi produttori di petrolio nella soluzione del problema dei fossili».

Delusione è stata espressa dal ministro degli esteri della Repubblica delle isole Marshall John Silk che usando una “metafora da indigeno” ha detto «Sono venuto qui per costruire una canoa, ma alla fine abbiamo costruito uno scafo pieno di falle che comunque dobbiamo mettere in acqua perché non abbiamo altra scelta»


UN'IMMAGINE FINALE di grande impatto anche se da questa COP28 escono progressi lenti e non adeguati alla fretta che ha il pianeta di salvarsi, ma comunque progressi. 

Diversamente non poteva essere. Se alle parole seguiranno i fatti sarà comunque un'accelerazione rispetto allo stallo attuale. Vedremo cosa accadrà alla COP 29 dell’anno prossimo che dovrebbe tenersi in Azerbaijan.

Così restano accese le nostre speranze di salvare il pianeta. Ne abbiamo bisogno perché non possiamo dimenticare che il cambiamento climatico è una grave minaccia per l’umanità, superato forse solo da una guerra nucleare su vasta scala. Ma di questo, se vorrete, parleremo in un prossimo articolo. 



*Roberto Bernardini è Generale di C.A. (Ris). Oggi si occupa di Geopolitica e Relazioni Internazionali (GRI)

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