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Ecco il campionato dove si gioca... da Dio




di Nicola Pisetta

Mentre entra nel vivo il mondiale in Qatar, scopriamo che pure il Vaticano possiede la sua squadra



Chi avrebbe pensato che lo Stato sovrano più piccolo del mondo possedesse il suo campionato di calcio? Ne parla per Il Cinque Don Luigi Portarulo, fresco di nomina come parroco a Manhattan, New York ed ex giocatore che ha militato nel campionato e nella Nazionale di calcio.


don Luigi Portarulo

Don Luigi, chi può accedere al campionato di calcio di Città del Vaticano?

«I dipendenti che lavorano nei vari istituti. Tra le principali figure operanti nella Santa Sede, sul campo troviamo le guardie svizzere, la gendarmeria dello Stato e i dipendenti del governatorato della Basilica di San Pietro».


Che formula adotta il campionato di calcio vaticano?

«In media si iscrivono otto squadre e l’Associazione Sport in Vaticano organizza il campionato, andata e ritorno più il torneo di Coppa: le due vincitrici si sfidano nella Supercoppa Vaticana. Dato il numero esiguo dei giocatori, si gioca a calcio a 9: otto titolari più il portiere e data la superficie limitata dello Stato che non dispone nel suo territorio dei campi da gioco, si scende in campo presso la Petriana, sul colle Gelsomino, appena fuori le mura vaticane. Il campo è tenuto dai Cavalieri di Colombo e all’interno si allenano anche le giovanili della Roma».

Tra i presenti, ci sono anche tanti sacerdoti?

«Io nel campionato ero l’unico, ma i sacerdoti e i seminaristi di Roma che desiderano giocare a calcio partecipano ad un torneo a parte, la Clericus Cup. In questo caso si gioca a calcio a 11: i calciatori provengono dai vari collegi della capitale, tra cui il Collegio Spagnolo e possiamo trovare, tra i vari ordini, anche monaci provenienti dall’Ordine dei Benedettini. Questo torneo è rapido, si svolge da gennaio a marzo: inizia con i gironi, andata e ritorno, per poi giocare ad eliminazione diretta nella fase finale».

Esiste anche la Nazionale di calcio?

«Certo! Naturalmente coi colori sociali ripresi dalla bandiera: in casa la maglia è gialla e i pantaloncini bianchi ma abbiamo anche altri colori, come l’arancione. Si tratta di una squadra rappresentativa, non riconosciuta né dalla UEFA né dalla FIFA, composta perlopiù dai dipendenti vaticani: si giocano amichevoli, in amicizia. Quando giocavo io eravamo sotto la guida del CT Gianfranco Guadagnoli: ricordo partite in Liechtenstein contro lo Schaan e un’altra contro i veterani della squadra tedesca del Borussia Mönchengladbach, oltre a gare di beneficenza come a Rieti dopo il terremoto di Amatrice e un triangolare, da me organizzato, a Pavia per la raccolta fondi dell’ospedale pediatrico: eravamo noi, selezione del Vaticano; una selezione di medici e infermieri e un’altra, nata a scopo benefico, formata da ex giocatori di Milan e Inter».


Gli arbitri provengono dall’Associazione Italiana Arbitri?

«I direttori di gara provengono dal Centro Sportivo Italiano ma alcune designazioni possono essere decise dall’associazione nazionale, specie all’estero. Piccola curiosità: come selezione del Vaticano abbiamo affrontato calcisticamente l’AIA in un’amichevole contro gli arbitri della Sezione brianzola di Seregno».

Contro altre nazionali di un Paese sovrano non riconosciute?

“Prima del mio arrivo, Città del Vaticano ha affrontato il Principato di Monaco alla presenza di Alberto di Monaco».


Contro altre comunità religiose non cattoliche?

«Sì, abbiamo giocato contro una selezione formata da giocatori protestanti di Wittenberg, il paese da cui nacque il Protestantesimo e dove Martin Lutero nel 1517 fissò le famose 95 tesi: sono occasioni speciali che, grazie allo sport, permettono oggi di unirci dopo un lungo passato divisorio in Europa tra i credo cristiani».


Il Pontefice ha mai presenziato ad un match?

«Nonostante Francesco nutrisse una grande passione per il calcio, grazie anche al tifo per gli argentini del San Lorenzo, il Santo Padre non è mai venuto: data la sua massima rappresentanza della Chiesa universale, gli impegni sono tanti. Ma è, comunque, a conoscenza della realtà calcistica dello Stato di cui è capo e ci ha inviato diversi messaggi di saluto: chissà, magari, in futuro...»


Vedremo mai la Nazionale vaticana riconosciuta dalla UEFA o dalla FIFA?

«Non è mai stata inviata, che mi risulti, una richiesta ufficiale: al di là del livello tecnico, giocare nei grandi scenari internazionali come fanno altri microstati europei presuppone un notevole impegno, a partire dai numerosi allenamenti del dopolavoro che la Selezione dovrebbe affrontare. Pesa, inoltre, il fattore economico: una Nazionale deve avere un suo sostentamento finanziario, specie per i continui viaggi, e per la Santa Sede non è né una priorità, né una spesa sostenibile. Infine, bisogna considerare il regolamento FIFA in quanto alle nazionalità: i cittadini vaticani sono poche centinaia e un dipendente vaticano non sempre ne è in possesso e non tutti sono residenti all’interno del più piccolo Stato del mondo».


Altri sport, oltre al calcio?

«Negli ultimi anni, su iniziativa di alcuni dipendenti, si è dato vita ad una squadra di atletica leggera, l’Atletica Vaticana. Per il resto, solo calcio».


Don Luigi Portarulo "Deus ex... campus"

Don Luigi Portarulo, 35 anni, dal 2012 è un giovane sacerdote originario di Bernalda (Matera) che ha giocato per anni nel campionato vaticano con le maglie di Dirtel, Associazione santi Pietro e Paolo e Fabbrica di San Pietro.

Inoltre, nel suo trascorso ha militato per anni nella nazionale giallo-bianca e non solo: ha indossato anche la maglia Azzurra dopo la convocazione nella Nazionale Italiana Sacerdoti di calcio a 5, disputando due anni fa l’Europeo in Repubblica Ceca e lasciando la firma personale, con due reti.

Ha attaccato le scarpe al chiodo, almeno in Europa, per una nuova missione, festeggiando così il decennale operato: da novembre 2022 è il nuovo parroco della parrocchia Our Lady of Pompei, situata nel cuore di Manhattan, a New York, divenendo così il punto di riferimento della locale comunità italiana e del Consolato oltreoceano.





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