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Odontofobia: cosa fare quando si ha un vero e proprio terrore per il dentista



di CINZIA GASPERI*

Quasi nessuno trova il dentista una bella esperienza: molti vanno per dovere, altri provano un sacro timore e disagio ma lo affrontano nonostante la voglia di fuggire; una persona su dieci, però, sperimenta una paura così intensa, da sviluppare quella che si può chiamare fobia specifica del dentista, od odontofobia. Una condizione talmente diffusa che viene riconosciuta anche dall’OMS, ma come potremmo definirla meglio?


Dal punto di vista psicologico, si identifica con una paura estremamente intesa davanti all’evento “dentista” , così forte che a volte sfiora l’attacco di panico. La reazione può scattare anche davanti a oggetti e situazioni che richiamano il mondo odontoiatrico: trapano, ago, rumore, attrezzi; nei casi più estremi non riguarda solo una parte dell’esperienza, ma tutto quello che concerne il dentista e le procedure più temute sembrano essere: iniezione dell’anestesia, interventi sulle carie, estrazioni e appunto il trapano.

Le sensazioni fisiche più frequenti sono: tachicardia, sudorazione, senso di soffocamento, tremore, impressione di svenire, cui segue una gran voglia di scappare.

Solitamente le persone sono consapevoli che la loro paura è eccessiva, ma non riescono a farne a meno.

Altri segnali della fobia del dentista, che possiamo riconoscere anche dall’esterno e che mettono sull’avviso il personale dello studio sono: il paziente che arriva troppo in anticipo, irrequieto in sala di attesa; che si mostra agitato e sudato; a volte con tremore , rosso in viso o molto pallido e che fa domande eccessivamente dettagliate sull’intervento.

Ma come reagisce l’odontofobico alla situazione temuta? Quali sono le soluzioni (non utili) che tenta di mettere in atto? In prima battuta cerca di scappare.

Spesso rimanda all’infinito le viste e i controlli; a volte evita addirittura l’argomento. Queste “fughe preventive” possono essere così massicce da coinvolgere le profilassi e i controlli indispensabili per la salute e la prevenzione dei diversi disturbi. A volte, pur di non andare dal dentista, tentano di auto-curarsi con farmaci e antibiotici, che nella migliore delle ipotesi sono inutili, ma possono anche essere dannosi.

L’effetto di queste strategie è che nel breve termine l’ansia cala (allontanandoci da ciò che temiamo) e quindi in un certo senso viene percepita come una soluzione efficace. Contemporaneamente,però, la fuga rafforza in noi l’idea che quella è una situazione che non sono in grado di affrontare: quindi rendere quello che percepiamo un pericolo, sempre più grande; mettiamo sempre più in atto le tentate soluzioni (auto-medicamenti, procrastinazione, evitamento) e le “situazioni dentali problematiche” peggiorano, fino al punto di richiedere interventi più complessi, lunghi. Scappando ci spingiamo verso l’incubo peggiore: lavori di molte sedute, estrazioni dentali, con maggior dolore, tutte cose che, magari, si potevano evitare.

A tutto questo si aggiunge la frustrazione del rendersi conto che questa visione della situazione è irrazionale: sappiamo che gli altri vanno dal dentista e che anche noi potremmo farlo senza eccessivo disagio, ma non riusciamo.

Altri odontofobici riescono a varcare la soglia dello studio. Cosa accade in questo caso? Spesso tentando di controllare la situazione così tanto da perdere il controllo.

A volte arrivano troppo in anticipo, ma questo fa perdere tempo e mette in difficoltà il personale sanitario. Tipicamente chi soffre di fobia del dentista, si focalizza e osserva ogni singola sensazione del proprio corpo, prima e durante; tenta di controllarle, con il risultato fisiologico di aumentare ed amplificare le sensazioni osservate, di farci diventare più sensibili, amplificare tutto e sentire più dolore. Diventa una profezia che si auto-avvera, e le tentate soluzioni rendono l'esperienza del dentista una catastrofe.

Allo stesso modo monitorare, ogni singolo segnale proveniente dagli studi mi tiene in un elevatissimo stato di allerta che mi farà interpretare ogni suono ambiguo come conferma che c’è qualcosa di pericoloso oltre quella soglia.

Una strategia di fuga più sottile in studio è la distrazione: mi impongo di leggere qualcosa, riviste, gioco col telefonino, scrivo messaggi o qualsiasi altra cosa che, metaforicamente, mi faccia fuggire da quello studio.

A queste tentate soluzioni appartiene anche l’uso degli ansiolitici: questi abbassano la mia ansia, ma non mi permettono davvero di affrontare la situazione, superare la paura e di entrare nello studio odontoiatrico serenamente.

Infine, altra strategia controproducente è farsi accompagnare da una persona di fiducia, poiché ho la sensazione che da solo non sarei in grado di affrontare la questione. Anche in questo caso mi convinco di essere debole e non supererò mai l’ostacolo.

Cosa può portare un adulto a sviluppare queste paure? Come si può uscire da questa impasse che limita in qualche modo la mia vita?

Ne parleremo nel prossimo articolo.


dott.ssa Cinzia Gasperi

www.gaspericinzia.it

Psicologa clinica e psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo comportamentale.



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