
di JOHNNY GADLER
La storia di Alessandro Hueller, 62enne di Marter di Roncegno, colpito dal Covid-19: il coma, il ricovero di oltre 80 giorni e il ritorno alla vita.
SIgnor Hueller, ci racconta la sua odissea?
«Tutto iniziò a metà febbraio 2021, con una banale influenza. Cosa strana, perché avevo fatto l’antinfluenzale. Col passare dei giorni, anziché migliorare, peggioravo. Il 22 mi accorsi di fare fatica a respirare. Chiamai il mio medico curante che come sempre gestì la situazione in modo encomiabile, mandandomi a casa una dottoressa. Quindici minuti dopo ero già in ambulanza diretto all'ospedale San Lorenzo di Borgo. Da lì, fatti alcuni esami, fui caricato di nuovo in ambulanza».

Destinazione?
«Essendo sdraiato sul lettino non vedevo la strada, ma riconobbi la statale della Valsugana dalle vibrazioni provocate dalle buche che l'autista non poteva evitare. Mi stavano portando al Santa Chiara di Trento per ulteriori accertamenti. Dopo l’arrivo in ospedale entrai in coma e di quei giorni non ho alcun ricordo, se non quanto riferitomi dai miei familiari».
Cosa le raccontarono?
«Non essendo ammesse le visite, una volta al giorno ricevevano dal reparto una telefonata nella quale venivano riferite le mie condizioni e le cure a cui ero sottoposto. Voglio sottolineare l’importanza del servizio “Vicino a te”, promosso dall'Azienda sanitaria di Trento, costituito da una webcam posta sopra il letto del paziente, che permette ai parenti di vedere dal computer i propri cari e pure di parlare con loro. Nel mio caso, però, potevano solo vedermi. Io non sentivo nulla e non ho ricordi».
Quanto è durato il coma?
«Più di due settimane. Infatti mi risvegliai il 12 marzo. Fu una grande emozione per i miei cari, ma anche per i dottori, i quali però mi misero subito in guardia, dicendomi che per la forte sedazione cui ero stato sottoposto, avrei potuto avere delle allucinazioni... ».
E andò così?
«Purtroppo sì. A un certo punto pensavo di essere finito in ospedale dopo un terrificante incidente stradale, nel quale avevo provocato pure la morte di altre persone. Il mio incubo atroce proseguiva facendomi credere che mi avessero isolato in una camera lontana da tutti. Dato il danno provocato, non potevo manco tornare a casa mia, sarei stato aggredito dal paese, temevo che le forze dell'ordine venissero a ritirarmi la patente, chiedevo di avere notizie di come fosse ridotta la mia macchina… che invece era intatta, regolarmente parcheggiata in garage ad attendermi».
Fisicamente come si sentiva?
«Mi avevano trasferito all’Ospedale Santa Maria del Carmine a Rovereto e mi rendevo conto che non sarebbe stata una passeggiata rimettersi in sesto. La voce era molto affievolita, non muovevo né gambe né braccia e mi ero lasciato un po’ prendere dallo sconforto. Ma dottori e infermieri, nonché fisioterapisti e pazienti, mi ripetevano che dipendeva tutto da me. In quei giorni la mia unica distrazione era la TV, ma evitavo accuratamente i telegiornali: trasmettevano solo notizie strazianti di chi non aveva avuto la mia stessa fortuna. Poi, un giorno, la scossa che mi fece ritrovare quella forza che avevo perso. I medici, seppur con tutte le precauzioni del caso, fecero venire il mio più grande amico. Un’emozione indescrivibile, alla quale si aggiunse anche un’altra buona notizia: il 31 marzo mi avrebbero trasferito all’Eremo di Arco per la riabilitazione».
Come andò ad Arco?
«Tra loro dicevano che per fine aprile sarei stato riabilitato, ma io non ci avrei scommesso nulla, perché avevo pochissima forza e le gambe erano ancora bloccate. Invece, piano piano, cominciarono ad accadere dei miracoli: essere di nuovo autonomo ad andare in bagno, uscire dal letto seppur con il deambulatore e fare quei primi passi come un bambino. A fine aprile, dopo circa 80 giorni trascorsi in ospedale, mi sarebbe piaciuto tornare a casa per festeggiare il mio compleanno che cade il 5 maggio».
Invece?
«Invece il 5 maggio ero ancora ricoverato, pronto ad affrontare quel giorno come se fosse uno dei tanti che già avevo trascorso nella struttura. La mattina, infatti, scesi come sempre per la fisioterapia, facendo finta di niente. Non è bello festeggiare il proprio compleanno e non avere nulla da offrire a chi ti fa gli auguri. Così non dissi niente a nessuno e finite le mie due ore di fisioterapia me ne tornai in stanza. Sul cuscino, con mia grande sorpresa, trovai un biglietto di auguri da parte dell'ospedale, con un regalo: una bottiglietta d'olio extravergine del Garda. Un gesto semplice, ma di grande valore perché inatteso, che mi emozionò come un bambino. Ma la gioia più grande la ebbi qualche giorno dopo, quando firmarono le mie dimissioni. Finalmente rimettevo piede a casa mia, riempita per l'occasione di palloncini con la scritta di bentornato. Il seguito è un pieno di emozioni e di miglioramenti quotidiani, sino al ritorno al lavoro, dato che manca poco per la pensione».
Perché ci ha voluto raccontare la sua storia?
«Per far riflettere quelle persone che sono ancora incredule sulla pericolosità del Covid e si ostinano a rifiutare il vaccino. Ma soprattutto per ringraziare il personale dei nostri ospedali che mi ha curato amorevolmente durante i vari ricoveri, consentendomi di ritornare a casa in vita ed in discrete condizioni di salute… a differenza di molte altre vite, che hanno avuto invece la peggio, cadendo in quella drammatica situazione di trovarsi all'improvviso in ospedale, senza poter avere vicino i propri familiari e amici, una presenza negata, in molti casi, persino per l'estremo saluto. Infine, tutti i giorni rivolgo una preghiera a Paolo, mio fratello maggiore, ma anche amico e angelo custode che sin da piccolo mi ha aiutato. Sei anni fa un male incurabile lo ha strappato dalla sofferenza terrena, ma Paolo vigila sempre su di me, forse anche più di prima! L’anniversario della sua scomparsa è il 12 marzo. Quel giorno il mio grande amico gli indirizzò una preghiera affinché uscissi dal coma e... due ore dopo mi risvegliai. Non è soltanto un frutto del caso, fidatevi!»