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La vita spericolata di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio

Aggiornamento: 8 nov 2020



di Johnny Gadler


Al Mart di Rovereto una mostra la più antica opera siciliana di Caravaggio, genio e sregolatezza, protagonista di una vita da romanzo picaresco e autore di opere insuperabili.

Al Mart di Rovereto è allestita l’attesa mostra "Caravaggio. Il contemporaneo" che offre ai visitatori l’opportunità di contemplare il Seppellimento di Santa Lucia, la più antica opera siciliana di Caravaggio, normalmente collocata a Siracusa, nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia.

Attraverso la proposta di diversi livelli di dialogo possibili, la mostra sottolinea, ancora una volta, l’attualità spirituale di Caravaggio. Il capolavoro seicentesco si riverbera in una selezione di opere e fotografie contemporanee. Ma chi era Caravaggio?

La breve e tormentata esistenza di Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio, fu un incessante alternarsi di luci e di ombre, proprio come avvenne nei suoi dipinti, realizzati con la tecnica del chiaroscuro, nei quali talvolta il pittore amava ritrarsi utilizzando l’arte come momento catartico per espiare i tanti peccati di una vita dissoluta, consumata nel vano tentativo di conciliare le grandi virtù dell’artista con i troppi vizi dell’uomo.

Nato il 29 settembre 1571, Michelangelo Merisi muove i primi passi artistici a Milano nella bottega del pittore bergamasco Simone Peterzano. Qui, pur senza voler dar credito al racconto di Giulio Mancini che lo addita come omicida, Caravaggio palesa subito un carattere scontroso, irascibile, addirittura incline alla violenza, tema dominante di molte sue opere e, purtroppo, dell’intera sua vita.

Trasferitosi a Roma sul finire del 1592, dopo alcune sistemazioni di fortuna trova ospitalità presso il pittore Giuseppe Cesari, all’epoca assai famoso tra l’aristocrazia romana con il soprannome di Cavalier d’Arpino. Tuttavia appare subito chiaro che l’idillio tra i due artisti non è destinato a durare molto: al lavoro di bottega, infatti, Caravaggio preferisce di gran lunga la frequentazione dei bordelli – dove comincia ad intrattenere relazioni con numerose prostitute – e delle bettole, dove invece s’appassiona al gioco dei dadi.

Ciò nonostante, per merito del suo estro artistico, nel 1597 diventa il beniamino del cardinale Francesco Maria del Monte, il quale gli acquista alcuni suoi quadri fra cui spicca il famosissimo "I bari". Non solo: il cardinale ospita l'artista in casa propria e lo introduce nell’alta società romana dove Caravaggio è ammirato, e quasi venerato, per la costruzione scenica dei suoi dipinti, decisamente di rottura rispetto ai canoni della controriforma, benché i temi proposti appartengano perlopiù, fatta eccezione per le nature morte, alla grande tradizione pittorica italiana.

A suscitare scandalo, quindi, non è il soggetto rappresentato, bensì il modo come esso viene proposto. Muovendo dal presupposto che bisogna ritrarre non il bello ideale ma la cruda realtà, Caravaggio dipinge personaggi che sembrano – e in verità lo sono – dei contadini rozzi, sporchi, stracciati e incolti. E davvero poco importa che raffigurino dei santi. Santa Caterina d’Alessandria, ad esempio, ha addirittura il volto di una prostituta, tale Fillide Melandroni compagna fissa nelle gozzoviglie notturne del Merisi.

Dal 1600 in poi l’esistenza di Caravaggio diventa, se possibile, ancora più turbolenta: il 19 dicembre si accanisce contro un certo Girolamo Stampa, al quale rifila numerose bastonate e una sciabolata.

Un aneddoto riporta poi che, la sera del 24 aprile 1603, Caravaggio trovandosi in un’osteria e non avendo gradito la cena, tiri un piatto di carciofi in faccia al garzone.

Qualche mese più tardi, il 28 agosto, si guadagna una denuncia per diffamazione: riconosciuto colpevole viene incarcerato e liberato soltanto per intercessione dell’ambasciatore del re di Francia.

Nel corso del 1604 viene arrestato per ingiurie e in seguito per porto abusivo d’arma, reato, quest’ultimo, in cui incorre nuovamente il 28 maggio 1605. Poco tempo dopo, per motivi di gelosia, ferisce con la spada il notaio Mariano Pasqualone. Il primo settembre colleziona invece una denuncia per non aver pagato l’affitto: si vendicherà rompendo le persiane della padrona di casa a sassate.

Il 26 maggio 1606 accade il fattaccio: in una rissa per un fallo al gioco della pallacorda, Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni da Terni.

Questa volta le sue amicizie altolocate possono aiutarlo soltanto a fuggire. Inseguito da un bando del tribunale di Roma che consente a chiunque lo veda di decapitarlo sul posto, il pittore si rifugia a Napoli.

Il 22 luglio 1607 lo ritroviamo a Malta. Sull’isola è accolto con grandi onori e il 14 luglio del 1608 viene addirittura nominato cavaliere dell’Ordine.

Ma il primo dicembre, forse perché l’eco del suo crimine è giunta sin lì, viene incarcerato. Riesce ad evadere e fugge in Sicilia, prima a Siracusa, poi a Messina e infine a Palermo.

Da qui s’imbarca per Napoli dove all’ingresso di una locanda viene ferito gravemente, forse dagli emissari del Gran Maestro dell’Ordine di Malta che gli stanno dando la caccia.

Braccato dalla legge e tormentato dal rimorso, il pittore avverte in maniera sempre più impellente la necessità di espiare le proprie colpe e lo fa attraverso l’arte.

È di questo periodo, infatti, il quadro che raffigura Davide con la testa di Golia. Ma quella testa mozzata, che ancora gronda sangue, altro non è che l’ennesimo autoritratto del pittore.

Caravaggio confida nella grazia del papa e i suoi amici romani si stanno adoperando in tal senso; però lui è impaziente e parte da Napoli a bordo di una feluca. Nel luglio del 1610 sbarca a Porto Ercole dove, sembra per un errore, viene incarcerato.

Quando esce, della feluca e di tutti i suoi averi non v’è più traccia. In preda alla collera e disperato, Caravaggio vaga sul litorale toscano per alcuni giorni.

Il 18 luglio 1610, probabilmente vittima di un’insolazione, muore in solitudine a soli trentanove anni, lasciandoci in eredità dei capolavori di cui qui è impossibile dar conto. Ma se abbiamo indugiato tanto sulle vicissitudini umane di Caravaggio è perché, come spesso accade nell’arte, solo conoscendo le debolezze dell’uomo si può arrivare a comprendere la grandezza dell’artista e la complessità della sua opera.


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