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L'Hotel Pension Pergine e quelle mancate Terme




di LINO BEBER

Nei pressi della stazione ferroviaria di Pergine Valsugana sorge un grande edificio, ora sede di appartamenti, ma un tempo, ancora prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, era un albergo proprietà di Giovanni Girardi, che possedeva nelle vicinanze anche una cantina di vini. L’Hotel era stato edificato verso la fine del 1800, in coincidenza con l’inaugurazione della ferrovia della Valsugana nel 1896. Sul Mercatello o Marcadel (oggi via Cesare Battisti) il fratello Giacomo aveva una fabbrica di gazosa e il ristorante Commercio, attuale sede di un bar.

Nella fabbrica di gazosa lavorarono Emilio Beber (1899-1980) del ceppo dei Beber che da Vignola migrarono alla Costa di Vigalzano e mio papà Basilio Beber (1905-1968).

Prima dello scoppio della Grande guerra un progetto faraonico prevedeva la costruzione del grandioso edificio delle Terme di Pergine che doveva sorgere proprio di fronte all’Hotel Pension Pergine. L’acqua minerale delle Terme di Sant’Orsola sarebbe stata canalizzata dalla sorgente di Val Pegara scoperta nel 1870 fino allo stabilimento termale perginese.

La società delle acque minerali, i cui soci erano in gran parte perginesi capitanati dal marchese Leopoldo Dallarosa, nel 1904 riuscì a costruire a Sant’Orsola uno Stabilimento Bagni, che fu inaugurato il 18 luglio 1904. Il 21 maggio 1914 la Società Acque Minerali presentò la domanda di concessione edilizia per la costruzione dello stabilimento termale di Pergine.

Due erano i progetti: uno dell’architetto Eduino Maoro e l’altro dell’ingegner Marco Martinuzzi e fu scelto quest’ultimo perché Eduino Maoro era socio della Società.

Purtroppo il 28 giugno 1914 scoppiò la prima guerra mondiale e, per questo, il progetto fu accantonato.

Ricordo che il castello di Pergine dal 1920, anno in cui fu acquistato dal comune di Pergine, diventò fino al 1926 l’albergo delle Terme di Sant’Orsola per i suoi clienti più facoltosi.

Nel 1921 fu realizzato, su progetto dell’architetto Eduino Maoro, l’edificio delle piccole terme annesso all’edificio dei Canopi e l’acqua termale da Sant’Orsola veniva portata con botti per mezzo di carro trainato dal cavallo come ricorda la scrittrice perginese Maria Pellegri Beber nel racconto C’erano una volta i Canopi tratto dal libro Lo scrigno della memoria a cura di vari autori (Scuola media “Ciro Andreatta”, Casa di riposo S. Spirito, Circolo comunale pensionati e anziani e Movimento decanale per la pastorale pensionati e anziani di Pergine Valsugana nel 1996).

I Bagni ferruginosi ai Canopi di Pergine credo non durarono tanti anni, perché la preziosa acqua vi veniva trasportata dalla sorgente oltre Sant’Orsola, nelle botti sui carri trainati dai buoi. Il progetto d’intubarla e di farla sgorgare sul luogo, restò sulla carta.

Vi era il senso o il desiderio di un turismo termale che facesse della conca perginese una meta di attrazione per il corpo. Ma tutto rimase nel sogno.

Eravamo troppo vicini a Levico e a Vetriolo, già scippati, signorili, eleganti, con il verde naturale della “montagna granda” e il parco asburgico. Pergine non seguì una vocazione specifica come avvenne in altri centri pur avendo un paesaggio incomparabile e invidiabile.

L’edificio Liberty dei Canopi, corroso dall’acqua ferruginosa, crollò sotto un’abbondante nevicata nell’inverno del 1985, non era antico, non era storico, non aveva forse nemmeno cento anni. Della costruzione che portava la pomposa insegna di Stabilimento Bagni (lentamente degradata ancora prima del crollo finale) non rimase traccia alcuna.



Mi pareva un vero Paradiso

il giardino dei Canopi

Nei miei ricordi d’infanzia, localizzati verso gli anni Trenta, in una nuvoletta della memoria, c’è un bel giardino con lunghe aiole di margherite e panchine bianche di metallo. Mi vedo ad asciugare al sole, con attorno ai fianchi un asciugamano o avvolto in una tunichetta chiara.

Era quello il giardino dei Canopi, che si stendeva verde e fiorito davanti al fabbricato, un po’ in stile Liberty, dei bagni dell’acqua ferruginosa della sorgente di Sant’Orsola. Dentro, oltre la porta incorniciata dalle due colonne di cemento, si allungava un corridoio con ai lati le cabine con le vasche. Per quanto venissero pulite accuratamente, l’acqua ferruginosa vi lasciava un velo come dorato, indelebile.

Vi era una bagnina, la simpatica signora Corradi, sempre candidamente vestita da parere inamidata. Mi pare avesse anche i capelli bianchi, nonostante la faccia giovane e rosea o era soltanto una cuffia?

Nitidissimo il ricordo di mia madre che usufruiva di quei bagni ferruginosi a pagamento. Per sfruttarli al massimo si tirava dietro noi tutti, quattro marmocchi, dagli otto ai due anni e quando usciva dall’acqua, color del fango, la bagnina ci permetteva di sguazzarci dentro allegramente, con mille raccomandazioni di badare al più piccolo, di non farlo affogare.

Quest’ultimo si divertiva assai meno dei più grandicelli e la mamma lo prendeva subito in braccio e, asciugatolo per bene, se lo portava fuori al sole su quelle belle panchine, tra il sorriso di quelle grandi margherite, oscillanti alla brezza.

Mi pareva un vero paradiso di delizie, un po’ come il Paradiso terrestre, quello dei Canopi.

Maria Pellegri Beber



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