di GIANCARLO ORSINGHER
Il Covolo di S. Antonio costruito dagli italiani nel 1884, fu distrutto nel novembre del 1917. Di questa fortezza si erano persi non solo i resti, ma anche la memoria. Luca Girotto ha ricostruito questa storia in un libro...
Dalla collaborazione tra i Comuni di Borgo Vals. e Valdagno, l'Associazione Storico culturale della Valsugana orientale e del Tesino e l'Esposizione permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai nasce l'ultimo lavoro di Luca Girotto, dedicato a una fortezza che si può definire “fantasma”, perché di essa si erano perse oltre che i resti fisici anche la memoria. Il certosino lavoro di ricerca dell'autore ha portato alla luce la storia di questo piccolo forte posto nella gola del torrente Cismon, lungo la vecchia strada per il Primiero, poco a monte della centrale elettrica di Pedesalto.
La pubblicazione narra la storia della fortezza conosciuta come Covolo di S. Antonio costruita dagli italiani a sbarramento della bassa val Cismon contro una possibile invasione austriaca.
INVASIONE VERIFICATASI nel novembre 1917, quando l’esercito italiano, in ripiegamento a seguito della rotta di Caporetto, finì per attestarsi sul monte Grappa. Durante le fasi più drammatiche della ritirata, la fortezza fu fatta esplodere dal genio militare italiano.
Gli austriaci, ai quali necessitava riaprire il transito sulla rotabile del Primiero, ne cancellarono le residue vestigia ancora nell’autunno del 1917. Tanto che se ne persero non solo le tracce materiali sul terreno, ma persino il ricordo nell’immaginario collettivo delle genti di quell’area del bellunese tra Fonzaso, Lamon, Sovramonte e Arten.
Il “forte S. Antonio” divenne da allora un fantasma.
Ma a quando risale la sua costruzione? Già nel 1882 l’orientamento dei vertici politico-militari era chiaro – spiega Girotto – l’unica strada di val Cismon in grado di sopportare il traffico pesante avrebbe dovuto essere materialmente sbarrata da una tagliata nel sito più idoneo, uno slargo della cengia stradale caratterizzato da una ampia ma poco profonda cavità naturale, il cosiddetto Covolo di S. Antonio. La conformazione orografica della zona suggeriva comunque da subito di costruire una fortificazione piccola, con “non più che due casamatte per artiglierie verso a monte e due verso a valle, più i magazzini e gli alloggiamenti i più indispensabili che ne conseguono”, come si legge in una relazione militare dell'epoca.
E in questo senso si procedette, con la costruzione iniziata nella primavera del 1884 e con la fortezza pronta e armata nella primavera di due anni dopo.
NEL PERIODO PREBELLICO la fortezza ebbe una vita oscura, nella quale assumevano importanza anche i lavori idroelettrici dei vicini impianti di Ponte Serra (la diga fu costruita nel 1908) e persino le diatribe circa l’uso dei liquami periodicamente rimossi dalle latrine del forte, con la ditta di Fonzaso incaricata di smaltire i liquami della guarnigione accusata di venderli come concime ad alcune famiglie della zona.
Altrettanto anonimo fu il primo biennio di guerra, perché l’avanzata italiana avvenuta ad inizio conflitto aveva posto fuori gioco la fortezza (come tutte le altre appartenenti allo “Sbarramento Brenta-Cismon”) spostando il fronte in Valsugana e sul crinale principale del Lagorai centro-orientale.
I locali comandi italiani colsero così l’occasione per prelevare artiglierie, mitragliatrici e molti degli equipaggiamenti dalle inoperose ed arretrate fortezze; non fece eccezione il forte S. Antonio, il cui già modesto armamento venne così praticamente azzerato a fine 1916.
Fu solo nell’autunno del 1917, quando le vecchie fortezze avrebbero potuto tornare utili per arrestare o almeno rallentare l’avanzata austriaca seguita alla battaglia di Caporetto, che agli strateghi dell'esercito italiano apparve in tutta la sua gravità l’imprudenza commessa con il disarmo delle opere.
LE COLONNE AUSTRIACHE in discesa da passo Rolle e dalla valle del Vanoi puntavano ad arrivare il più rapidamente possibile nella piana tra Feltre, Fonzaso ed Arsiè, per iniziare senza indugi l’assalto finale al monte Grappa, ultimo bastione della resistenza italiana prima della pianura bassanese.
Le “battaglie della ritirata” degli italiani lungo la Val Cismon in corso d’evacuazione, culminarono così in quello scontro per Fonzaso che la sera dell’11 novembre obbligò il capitano Candoni, comandante della 153ª compagnia del battaglione Monte Arvenis che difendeva il forte S. Antonio, a distruggerlo con un’ingente quantità di esplosivo collocata nella polveriera in caverna della fortificazione. Nella battaglia vennero coinvolte anche le moderne opere idroelettriche collegate allo sbarramento di Ponte Serra ed alla centrale di Pedesalto.
SI APRIVANO COSÌ agli austriaci la strada per Feltre e quella per Arsiè-Primolano, nonché le valli settentrionali del massiccio del Grappa, ma gli errori strategici del Comando supremo austriaco e l’accanita resistenza italiana lungo il corso del Cismon e del Vanoi impedirono alle armate austrogermaniche di cogliere l’attimo fuggente e scardinare il nuovo e non ancora assestato schieramento italiano.
L'11 novembre 1917 segnò così la fine delle breve vita della tagliata di S. Antonio, che oggi riemerge dalla storia e dall’oblìo grazie a questo volume di oltre 350 pagine e di quasi 300 tra foto, schizzi e cartine, nel quale vengono organicamente inquadrate memorie diaristiche personali di militari delle due parti, ricordi di reduci, relazioni e rapporti ufficiali ripescati da polverosi archivi a Roma, Vienna e Berlino.
A illustrare la narrazione, un notevole corredo iconografico che si avvale di immagini d’epoca scattate sia dagli italiani che dagli austriaci (tra le prime, le uniche sette fotografie a tutt’oggi note della fortezza, scattate precedentemente alla sua distruzione) e le planimetrie approntate dal progettista italiano Giulio Aldrini nonché quelle, quasi più dettagliate, redatte dallo spionaggio austroungarico già a fine ‘800.
COME RICORDATO la tagliata del Covolo di S. Antonio è ormai quasi completamente scomparsa e ben pochi sono i resti visibili. La visita non presenterebbe di per sé particolari rischi: l’avvicinamento lungo il troncone dismesso della SR 50 dal versante di Fonzaso comporta tuttavia un serio pericolo di caduta sassi dalla fiancheggiante parete rocciosa. Più opportuno appare quindi raggiungere il sito dal lato ovest, ossia da Ponte Serra con poche centinaia di metri di passeggiata in leggera discesa.