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Andrea Vidotti: il guru dei campioni, da Tomba a Trentin


Michela Moioli, Federico Pellegrino, Andrea Vidotti e Sofia Goggia


di GIUSEPPE FACCHINI

Intervista al manager che segue i nostri Hinnerhofer, Trentin,Sighel, Peterlini, Fossali e tanti altri ancora...


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otti, qual è il suo rapporto con lo sport?

«Mi sono laureato in economia e commercio con una strada quasi segnata, visto che mio papà era commercialista. Ma in quello studio non ci sono mai andato, perché avevo una grande passione per lo sport. Ho avuto fortuna, perché sono partito subito al top con Alberto Tomba. Un’esperienza che è stata la mia palestra di vita, con un atleta che inchiodava le famiglie davanti alla tv e che univa capacità tecniche al fatto di essere un personaggio.»


Come vede il Trentino-A. A?

«Amo molto la vostra regione. Vengo spesso a Trento, dove faccio lezioni nei master post universitari. Ho parecchi atleti qui, come Christof Innerhofer, che seguo da 11 anni. Lui ha una passione pazzesca per lo sport e per l’impegno che ci mette avrebbe meritato ancora di più, anche se ha vinto due medaglie olimpiche e tre mondiali. Poi c’è una nuova leva, Martina Peterlini di Rovereto, i due fratelli Sighel di Piné, Matteo Trentin, il ciclista di Borgo. Mi sono aperto anche a sport come nuoto, con Ludovico Fossali di Bieno, campione mondiale trentino di arrampicata sportiva. Lui è stato tra i primi atleti a qualificarsi per le Olimpiadi e quindi andrà a Tokyo, dove sarà di scena questa specialità per la prima volta. A settembre lavorerò in Primiero per una gara di mountain bike marathon.»


Come è cambiato il suo lavoro in questi anni?

«Si sono evolute le modalità di sponsorizzazione, perché le aziende chiedono che la sponsorizzazione sia valorizzata e nella nostra professione molto hanno influito i social, che ormai sono uno strumento di comunicazione da cui gli atleti non possono prescindere. Fare una campagna social con l’atleta è come fare uno spot in tv e quindi gli atleti sono nel loro ambito dei microinfluencer, un riferimento per chi li segue.»


Come è stato lavorare con Alessandro Del Piero?

«Ho avuto la possibilità di lavorare con lui e con Federica Pellegrini. Quanto più grandi e famosi sono certi atleti, più hanno una professionalità sbalorditiva ed è un piacere lavorare con loro. Con gli atleti si instaura un rapporto di fiducia, per i più giovani sei quasi un secondo padre a cui chiedere consigli anche su altre cose.»


Quanto ha pesato la pandemia nello sport?

«Sono molto spaventato per lo sport di base, perché i nostri ragazzi stanno già tantissime ore al computer. E non sono potuti andare in palestra, con privazioni enormi. Un ragazzo ha bisogno della sua ora di ginnastica. Una gravissima mancanza che pagheremo negli anni, anche come future leve, perché lo sport di base è quello che ci dà i futuri campioni ed è fermo da quasi due anni. I campioni subito dopo il lockdown si sono organizzati per allenarsi, perché riescono ad adattarsi e a reagire alle difficoltà, per i ragazzi è stato più difficile e sono rimasti fermi tanto tempo.»

Che funzione ha lo sport in un periodo come questo?

«Lo sport è anche un segno di rinascita. Negli europei di calcio e agli internazionali di tennis abbiamo rivisto e sentito il pubblico, non eravamo più abituati al tifo in uno stadio. E un segnale che ci stiamo avvicinando alla semi normalità.»


Quanto è importante lo sport come funzione sociale?

«Un grande atleta o chi fa sport è una persona migliore nella vita di tutti i giorni. Cito come esempio Antonio Fantin 19 anni che ha fatto il record del mondo paraolimpico nei 100 stile libero. Lo scorso anno ha fatto la maturità con 100/100, si allena sempre in piscina e riesce ad avere il massimo nello sport e nella scuola e ora a giurisprudenza.

Lui dice che gli esami li prepara come una gara di nuoto, arrivando la sera prima senza rimpianti, perché ha fatto tutto quello che doveva fare. Tanti ragazzi che potevano essere in difficoltà o sbandati si sono ritrovati grazie allo sport. Spesso ai ragazzi chiedo: "Quanti sacrifici hai fatto?". La risposta è: "Non sono sacrifici, perché fanno parte del mio modo di vivere lo sport, utili alla mia attività". Mi piace molto interagire con loro, ho l’esperienza, riesco a trasferire delle emozioni, loro hanno la freschezza delle idee e ti danno quel quid in più.»


Si può riconoscere il talento in un giovane?

«Lo può dire un allenatore. Io ho la capacità di valutare la persona, vedere se ha dei valori, le carte in regola per essere una grande persona e quindi è poter diventare un campione. È una sensazione epidermica.»


Qualche ricordo?

«Sono tanti. Alle Olimpiadi di Torino, Giorgio Rocca era il grande favorito ma uscì di pista, un silenzio irreale. Questo è lo sport: arrivare alla vittoria significa passare dalla sconfitta, il modo per rialzarsi anche dopo un infortunio. Bisogna avere la costanza di ripartire e sarà ancora più bello arrivare alla vittoria, come per Sofia Goggia. I grandi atleti dopo un infortunio hanno un momento di sconforto, ma un minuto dopo pensano già alla strada più breve per recuperare.»


A livello economico c'è una sperequazione tra i calciatori e gli atleti di altri sport?

«Ci sono differenze, un campione olimpico come Igor Cassina che s'allena 7 giorni su 7 per 9 ore al giorno meriterebbe di più come ritorno economico, ma non ha mai avuto un briciolo di invidia verso il calcio. Non si sentono i fratelli minori, guardano alla loro passione.»


Un consiglio ai giovani?

«Lasciare libero spazio ai propri sogni e mettere tutto quello che hai per raggiungerli.»

Si ringrazia per la collaborazione l'avvocato Giuseppe Origlia




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