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Valsugana. Nataliya Sofiychuk: «Sono al sicuro, ma mi sento in colpa»


Nataliya Sofiychuk




di IVAN PIACENTINI

Nataliya Sofiychuk è una cittadina ucraina che da 18 anni vive a Borgo Valsugana. Un posto che le piace e che per vari aspetti le ricorda il paese della sua infanzia. Qui si sente al sicuro, ma nel contempo si sente in colpa per tutte le persone che stanno soffrendo per la guerra fratricida della Russia contro l'Ucraina...


Nataliya, ci racconti qualcosa del tuo paese di origine e della tua infanzia?

«Sono cresciuta in un paesino vicino alla città di Ivano-Frankivs’k, ad ovest, poco distante dal confine con la Romania. È più o meno come Borgo Valsugana: bei paesaggi, circondati da montagne, un fiume, un lago. Il mare invece è un po’ lontano, a 900 chilometri… Somiglia molto a qui anche come cibo! C’è un tipo di polenta che si usa spesso come contorno, e persino una specie di tortellini; poi ovviamente ci sono altri piatti, come il borsch, un piatto ucraino, una sorta di zuppa con la rapa rossa. Dicevamo del paese: l’estate si andava a fare il bagno nel fiume e ci si incontrava in strada con gli altri ragazzi. I giochi che si facevano da ragazzini sono più o meno come quelli di qui: prendersi, nascondino… A Natale si andava a cantare di casa in casa, per guadagnare qualche mancia o un po’ di dolcetti: è una tradizione che continua ancora adesso, anche se si sta perdendo sempre più. Una tradizione più particolare che qui non c’è, di Pasqua, è quella di preparare un cesto con salame, formaggio, uova, una sorta di panettone, e di portare il tutto in chiesa per farlo benedire».

E la scuola?

«È un po’ diverso rispetto all’Italia: la scuola dell’obbligo dura 11 anni. Qui, alla fine di quel periodo hai una professione, mentre da noi no, è solo scuola e il diploma serve soltanto a studiare ulteriormente, frequentando un collegio, un istituto, un’università. Si potrebbe anche andare in università dopo 9 anni, ma in pratica i primi due anni compensano quelli che mancano dell’obbligo. Se invece frequenti dopo gli 11 anni puoi già studiare quello che ti interessa, le materie che ti servono per la specializzazione».


E tu che studi hai fatto?

«La mia famiglia è piuttosto benestante e finita la scuola dell’obbligo ho potuto studiare in università, management ed economia. All’epoca facevo karate e mi ero avvicinata alla pesistica. Volevo studiare qualcosa relativo allo sport, magari diventare insegnante di educazione fisica, ma a mia mamma, nonostante fosse laureata, non piaceva molto l’idea. È stato mio papà a spingermi di più a studiare, praticamente è grazie a lui che ho finito l’università». «La macchina ha un gran potenziale e mi sono trovato subito a mio agio. Non abbiamo avuto modo di rifarci di un mio errore nella prova di venerdì che ci è costato 11 secondi in quanto nella giornata di sabato siamo riusciti a completare (causa maltempo) soltanto una prova speciale delle quattro previste. Ma siamo consapevoli di potercela giocare vista la vittoria nell’unica prova speciale effettuata sabato».

Com’è la vita in Ucraina a livello di persone e di società?

«Volendo fare un paragone, potremmo dire che gli ucraini sono considerati un po’ come qui gli italiani del sud: sono molto aperti e danno il benvenuto a tutti. Certo, ci sono come sempre le eccezioni, ma in linea di massima sono una nazione aperta e socievole. In generale in città si vive un po’ peggio: nei paesi più piccoli la possibilità di avere un orto o un giardino a disposizione è un grande vantaggio. Si coltiva tutto e non si deve andare a comprarlo, risparmiando molto rispetto alle persone che vivono in città».


Come mai hai deciso di trasferirti in Italia?

«Ho lavorato per alcuni anni in un ufficio statale, poi ho conosciuto il mio futuro marito, che viveva già in Italia e lavorava qui da anni. Così ho preso la decisione, 18 anni fa, di lasciare tutto e venire qui con lui».


Come sono stati i primi mesi?

«Direi buoni, a parte il primo impatto con la lingua. L'avevo studiata un po’ prima di venire, ma non potevo sperare di conoscerla bene senza vivere qui, anche se l’italiano mi piace molto. In generale mi piaceva l’Italia, avevo questa idea fissa ancora da ragazzina. La vedevo come una nazione solare e… che fa belle scarpe! Quando mi stavo preparando a trasferirmi pensavo che sarei andata a vivere al caldo, ma arrivare in Trentino è stato un po’ come ritrovarsi a casa da quel punto di vista! No dai, non fa così freddo come da noi… Dopo un paio di mesi ero in grado di spiegarmi, e capire qualcosa».


E il tuo rapporto con le persone, com'è stato?

«Sono stati tutti molto gentili e pazienti, soprattutto i miei vicini di casa che mi spiegavano tutto quello che non capivo. Mio marito perlopiù lavorava, ma mi ha dato una mano con le parole più importanti: avevo una lista fatta da lui con le parole principali, preparata cinque anni prima quando era arrivato qui. Dopo 7 anni è arrivato nostro figlio. Siccome siamo qui da soli, senza altri parenti, io sto con lui e mio marito lavora. Adesso che comincia a crescere vorrei studiare qualcosa, fare un corso, per avere una qualche professione».

La tua laurea qui non è riconosciuta?

«No, ho ‘tradotto’ il mio diploma, ma come dicevo prima si può utilizzare solo per continuare gli studi. Nel frattempo non mi piace stare ferma, faccio volontariato in chiesa, pratico Ju jitsu, aiuto gli allenatori di judo con i bambini, da poco sono diventata donatrice di sangue… cerco di sfruttare appieno il mio tempo».


Pensi mai di ritornare in Ucraina?

«Sì, l’idea ci sarebbe stata, anche se non in un immediato futuro. Abbiamo fatto casa in Ucraina e, se non scompare dopo questa storia, volevamo tornare lì una volta in pensione. Non prima: a me è sempre piaciuto stare qui, e poi mio figlio è nato in Italia, quindi per lui non sarebbe un “ritorno”. In più non ci sono tante possibilità di lavoro o di guadagno lì: siamo stati fortunati con il discorso casa perché siamo riusciti a farla subito prima che i prezzi, negli ultimi anni, si alzassero. Diciamo che se avessimo tardato un po’ sarebbe stato più difficile, perché il costo della vita è cresciuto molto, mentre le paghe sono rimaste basse. Se avessimo provato qualche mese dopo, probabilmente avremmo dovuto spendere due-tre volte in più. Insomma, avendo tutti i parenti in Ucraina ci torniamo due o tre volte per l’estate o durante le festività pasquali o natalizie, a livello di vacanza; ma la nostra vita è qui».


Anche se lontani, per fortuna, dal conflitto, quello che sta succedendo si riflette molto anche sulla vostra vita…

«È veramente cambiato tutto da un giorno all’altro. Un giorno...




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