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Vaccini e varianti del virus: servono ancora le restrizioni? Uno studio dell'Università di Trento


Uno studio relativo a Sars-CoV-2, pubblicato su Nature Medicine, svolto dall’Università di Trento in collaborazione con il Policlinico San Matteo e l’Università di Pavia, l’Università di Udine e il Politecnico di Milano, quantifica l’importanza di mantenere adeguate restrizioni per combattere la diffusione del contagio, almeno nelle prime fasi della campagna vaccinale, anche a causa delle nuove varianti più contagiose

Nonostante la campagna vaccinale, con la diffusione di varianti altamente trasmissibili del virus le misure di contenimento rimangono cruciali per controllare l'epidemia: restrizioni più severe riducono la trasmissione virale ben più di una vaccinazione più veloce. Poiché allentare le restrizioni porta a un'esplosione di infezioni e decessi, che richiede nuove restrizioni drastiche, chiusure e aperture finiscono per alternarsi ciclicamente: a parità di durata dei periodi di apertura e chiusura, una strategia preventiva riduce notevolmente i ricoveri e i decessi rispetto a un intervento tardivo, senza aggravare i costi socioeconomici. Sono le conclusioni di un lavoro di modellistica epidemiologica, coordinato dall’Università di Trento e pubblicato sulla rivista Nature Medicine, che ha preso in considerazione i due fattori cruciali che stanno cambiando lo scenario pandemico: le nuove varianti più contagiose del virus Sars-CoV-2 e la disponibilità di vaccini efficaci.

«Descriviamo l’evoluzione dell’epidemia di Covid-19 con il modello Sidarthe, proposto in un nostro precedente articolo apparso su Nature Medicine un anno fa, esteso per rappresentare anche l’effetto della vaccinazione» spiega Giulia Giordano (corresponding author, Dipartimento di Ingegneria industriale, Università di Trento). «Il modello Sidarthe trasmette i nuovi casi di infezione giornalieri a un secondo modello dinamico, basato sui dati dell’epidemia in Italia, che calcola il profilo risultante dei costi sanitari, in termini di decessi e di occupazione di posti letto e terapie intensive».

Lo studio confronta diversi scenari di evoluzione dell’epidemia in Italia, variando la velocità della campagna di vaccinazione, la contagiosità del virus a causa delle nuove varianti e l’intensità delle restrizioni, considerando anche l’alternanza di aperture e chiusure. L’effetto della vaccinazione sull’evoluzione dell’epidemia risulta sempre minore rispetto all’effetto delle misure restrittive, che possono contenere l’epidemia anche senza vaccinazione e che, anche nella prima fase della campagna vaccinale, sono fondamentali per ridurre costi sanitari e decessi.

«L’effetto era davvero impressionante quando abbiamo preparato la prima stesura del lavoro, in febbraio: si vedeva chiaramente come restrizioni più stringenti salvassero centinaia di migliaia di vite, mentre ben minore era l’impatto della campagna vaccinale, anche se veloce» racconta Giulia Giordano. «Negli scorsi mesi, molte persone sono state immunizzate e l’inasprimento delle restrizioni ha ridotto la circolazione del virus, perciò ora la forbice tra caso peggiore e caso migliore si è ridotta. Ma a causa della progressiva perdita di immunità (quella conferita dal vaccino, così come dal superamento della malattia, sembra non durare più di un anno), per non far ripartire il contagio sarà fondamentale continuare a seguire le norme di prudenza e igiene e utilizzare i dispositivi di protezione, così come monitorare la situazione epidemica con test e tracciamento dei contatti, così da arginare tempestivamente i focolai che rischiano di esplodere anche dopo aver concluso la campagna di vaccinazione».

I risultati dello studio evidenziano la necessità di mantenere restrizioni sufficientemente stringenti anche durante la campagna vaccinale, perlomeno fino alla completa immunizzazione della popolazione più vulnerabile. Anche l'importanza di pianificare le restrizioni in modo preventivo emerge chiaramente dallo studio: se si alternano periodi di chiusura e apertura di durata fissata, iniziare con un periodo di chiusura, anziché di apertura, salva decine di migliaia di vite e riduce considerevolmente i costi sanitari, a parità dei costi socioeconomici che dipendono solo dalla durata dei periodi di chiusura.





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