di FRANCO ZADRA
Se c’è una cosa che è di tutti e per la quale tutti sono fatti per goderne, è la musica! Salvatore La Rosa e Marta Baldessari, direttore e vice, del Museo degli strumenti musicali popolari di Roncegno Terme, ci presentano un museo unico nel suo genere, che offre un itinerario, interno, e nel bel parco che lo circonda, alla scoperta della cultura e dell'arte dei popoli, di tutti i continenti del mondo.
Di seguito sarà Salvatore La Rosa a raccontarci di questo particolarissimo Museo, ma anche la silenziosa presenza di Marta Baldessari che per il Msmp cura e sviluppa i collegamenti e le collaborazioni in rete con il Museo degli spaventapasseri, realizzato all’interno dell’ex mulino Angeli, apre ulteriori prospettive di future interviste alla scoperta di queste perle culturali che rendono unico il nostro territorio.
«Il Museo degli strumenti musicali popolari – dice Salvatore La Rosa – nasce da una mia collezione privata; avevo infatti raccolto tre-quattrocento strumenti a casa mia, in Sicilia, poiché ho sempre avuto questa passione, almeno da quando ho avuto i soldi per comprarli.
Nel 2007 sono approdato in Trentino, e nel 2010 avevo iniziato a dirigere il Coro Sant’Osvaldo di Roncegno. Già nel 2011 avevo proposto al Coro di portare parte della mia collezione in Trentino per provare a fare una mostra permanente di strumenti musicali. È stato quindi chiesto l’utilizzo gratuito dell’ex canonica di Santa Brigida, e la sala sotterranea di questa è stata allestita per la mostra di questi strumenti. Da subito si è registrato un discreto successo di pubblico, tanto che abbiamo deciso di portarvi tutti gli strumenti che avevo in Sicilia, e da quel momento la mostra si è sempre più ampliata e allargata, fino a coinvolgere l’intero edificio della canonica. Al momento, gli strumenti esposti sono oltre mille, con un problema di gestione degli spazi, poiché il progetto ha preso molto più piede di quello che pensavamo all’inizio, tredici anni or sono».
Il Museo è stato organizzato secondo un percorso “geografico”. Con “strumenti popolari” si intendono, infatti, quegli strumenti che rappresentano un popolo; sono strumenti legati alla musica folcloristica e i vari padiglioni del Museo sono dedicati a ciascuno del cinque continenti.
Vi si trovano quindi la sala Africa, e le sale Europa, Asia, Oceania, e America. Da qualche anno il Museo ha anche acquisito parte di una collezione strumentale di una associazione di Buttrio che promuoveva la musica popolare, etnica e acustica internazionale attraverso concerti, seminari e altre iniziative in Friuli, ma che ha formalmente cessato l’attività e per Statuto doveva devolvere il suo patrimonio a un’altra associazione che avesse pari finalità.
«Siamo andati quindi con tutti i coristi del Sant’Osvaldo – racconta La Rosa – a prendere gli strumenti che erano a Buttrio, superando così gli oltre mille strumenti in mostra, grazie a questa fortunata convergenza. All’inizio ero io il “collezionista di maggioranza”; nel corso degli anni, tante persone, di Roncegno, della provincia, molti coristi, tanti appassionati di strumenti musicali che hanno sentito parlare del Museo, sono venuti a visitarlo e si sono appassionati al nostro progetto, concedendo all’esposizione in uso gratuito i loro strumenti, che dunque non sono di proprietà del Museo ma sono tutti concessi in uso gratuito e, se il Museo cessasse l’attività, ritorneranno al loro proprietario».
Una cosa soprattutto contraddistingue questo Museo da altri dello stesso tipo: la possibilità offerta ai visitatori di suonare gli strumenti; non tutti e mille, ovviamente, poiché alcuni sono abbastanza delicati, ma molti strumenti, durante la visita, possono essere provati.
«La nostra idea – spiega La Rosa – è sempre stata, infatti, quella di un Museo che non fosse solo un guardare per apprezzare la fattura dello strumento, ma fosse un vero incontro con la musica e interagisse con il pubblico per un’esperienza del tutto coinvolgente, poiché ci siamo chiesti: che cos’è uno strumento musicale senza il musicista?
La maggior parte degli strumenti poi, vivono dal momento che sono suonati, soprattutto quelli di legno o in fibra vegetale, hanno bisogno di essere sollecitati per rimanere “vivi” e funzionanti».
Attraverso questo percorso cadono molti pregiudizi etnici e, per esempio, uno capisce che Africa non è solo tamburi, o America Latina non è solo ukulele o charango, ma in tutti i continenti c’è un vastissimo patrimonio di strumenti a corda, a percussione, aerofoni, e altro.
Vi sono anche strumenti “storici”, uno dei più antichi tra quelli esposti è di inizio Ottocento, ma la filosofia del Museo di Roncegno non è quella di andare a vedere dei reperti storici, se non di capire piuttosto ciò che differenzia gli strumenti musicali, nell’uso dei materiali che li compongono, nei suoni che producono, come nelle forme, a partire dalla loro origine geografica.
È dunque un viaggio, non solo nella musica, ma nella cultura dei popoli e in Italia non c’è un altro Museo come questo che li rappresenti tutti in maniera così ampia e articolata.