A tutti capita di avere in cantina oggetti vecchi e inutili o cose che teniamo perché non si sa mai; ma quando sono talmente tante che l’auto non sta più in garage? O rischiamo che pile di vecchie riviste ci sotterrino?
di CINZIA GASPERI*
In questi casi siamo davanti ad un disagio, diventato famoso grazie ad alcuni programmi televisivi: la Disposofobia o disturbo da accumulo, problematica ancora poco studiata, a lungo considerata un sottotipo di un altro problema, il DOC. Ma le ricerche recenti mostrano che ha aspetti unici, che lo rendono un disturbo a sé stante, anche se sono ancora in corso accertamenti sulle caratteristiche e i meccanismi.
Potremmo descrivere la Disposofobia come la tendenza patologica ad accumulare oggetti: le persone raccolgono, comprano, recuperano cose di cui non riescono a liberarsi, anche se inutili o prive di valore. Tutto viene conservato intenzionalmente e non come conseguenza di qualche altra abitudine o sintomo di altri disagi (ad esempio psicosi o depressione). La conseguenza è che gli spazi di vita s’ingombrano di cose e non possono più essere usati per gli scopi cui erano destinati; si crea un disordine estremo, che non è caratteriale ma la conseguenza del continuo accumulo.
Le persone non riescono a liberarsi degli oggetti perché sentono il bisogno di conservarli, convinti che prima o poi potrebbero servire e sentono un grandissimo disagio all’idea di gettarli e ne sono “gelosi” (non gli piace che qualcun altro tocchi le loro cose).
L’effetto sulla vita del Disposofobico è grande, portando disagio nel lavoro, nelle relazioni con gli altri e nella sicurezza personale. La casa è talmente ingombra di cose che il riposo, l'igiene, la pulizia e le diverse attività quotidiane sono limitate; spesso, anche per vergogna, chi soffre di disturbo da accumulo nasconde a tutti il suo problema, fatica a chiedere aiuto ai professionisti e se lo fa, di solito, è per altre problematiche. Il fenomeno è probabilmente sottostimato e sommerso, ma si pensa che tra il 2 e il 6% della popolazione soffra di questo disturbo.
Elemento importante nel Disposofobico, è che non si rende conto del suo problema; inoltre non se ne conoscono bene le origini, sebbene si ipotizzi un insieme di concause, genetiche e di predisposizione biochimica del cervello, che si intrecciano con eventi di vita stressante e/o traumatici, spesso connessi alla sfera degli affetti, legate a perdite o violenze. Inoltre spesso si è notata un’associazione tra accumulo e depressione.
Del quadro sembrano fare parte alcune difficoltà peculiari di queste persone come la scarsa intelligenza emotiva (faticano a comprendere e gestire le proprie e altrui emozioni); scarse relazioni sociali, tendenza ad evitare situazioni e idee poco utili sull’accumulo stesso.
Questi elementi portano il Disposofobico a perdere di vista il rapporto costi/benefici: confonde comportamenti utili come il “non sprecare” e il “riuso”, con una strategia così estrema da diventare autolesiva e se gli si chiede qualche spiegazioni, riferisce vaghi attaccamenti affettivi agli oggetti o il fatto che in futuro servirà.
Ma soprattutto, è importante ribadirlo, il disturbo impatta sulla vita delle persone: vivono in luoghi insalubri (sono impossibili le pulizie); non si possono svolgere le comuni attività domestiche (entrare nel bagno o usare la cucina); a causa degli oggetti accumulati, aumenta il rischio di incidenti, lesioni e traumi.
Sul piano relazionale sono compromesse le relazioni con i famigliari, aumentano conflitti; il Disposofobico è spesso isolato (anche come reazione alla vergogna, evita lui stesso di entrare in contatto con gli altri) e rischiano problemi finanziari e legali (ad esempio di essere sfrattati).
Come possiamo aiutare chi ha questo tipo di disagio?
Principalmente puntando ad alleviare il disagio e a riappropriarsi della propria casa e spazi vitali.
In terapia si aiuta la persona a capire cosa tenere e cosa si può gettare, si fa inoltre particolare attenzione: alle problematiche e al disagio emotivo, a quelli che sono i comportamenti di accumulo e le loro componenti; alle strategie di evitamento dei problemi; alle difficoltà ad elaborare le informazioni per fare scelte adeguate.
Lo scopo principale è ridurre le difficoltà nell’organizzarsi, eliminare gli acquisti eccessivi e liberarsi delle cose inutili; inoltre si lavora per aiutare la persona a costruirsi un suo nuovo modo di vedere le cose, che sia più funzionale alla sua vita.
Per far questo è molto importante ricordare che i Disposofobici hanno poca consapevolezza del proprio disagio: sono utili, dunque, strategie motivazionali per sostenere il cambiamento e ridurre l’ambivalenza; affiancate anche a visite domiciliari, per aiutare la persona sul campo.
Quest’approccio terapeutico, aiuta le persone a ridurre il proprio disagio, riappropriarsi degli spazi vitali fisici e umani, a migliorare le proprie relazioni e quindi la qualità della vita.
* dott.ssa Cinzia Gasperi
www.gaspericinzia.it
Psicologa clinica e psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo comportamentale