di LINO BEBER
Un tempo, parliamo degli anni ’50, quindi 60 anni fa quando io ero un bambino delle scuole elementari, la fiera era in modo particolare destinata al commercio di bestiame, in particolare mucche e maiali.
La grande piazza ora dedicata a Giuseppe Garibaldi era chiamata piazza Fiera e, vicino al cimitero, ove ora sorge il grande parcheggio, c’era il “Foro boario” dove i commercianti di bestiame esibivano gli animali (mucche, asini, maiali…) e arrivavano i contadini interessati all’acquisto, coadiuvati dai mediatori o sensali (“sensari”) che garantivano la qualità del prodotto senza tante carte. L’affare era concluso con vigorose pacche o strette di mano.
Anche mio papà Basilio a primavera comperava un maialino, che nutrito con patate piccole, siero di latte (“broda”) rifornito dal locale caseificio, allora situato ai piani bassi di Palazzo Hippoliti, e ogni avanzo dell’allora pur magra mensa, nel giro di pochi mesi da pochi chilogrammi raggiungeva il quintale e nel primi giorni del mese di gennaio veniva immolato con una truculenta cerimonia di scannamento alla quale anche noi bambini assistevamo senza patemi d’animo.
Il sangue che usciva dal collo dell’arteria carotide recisa veniva raccolto in un secchio e poi trasformato in un “dolce” chiamato sanguinacci (“brusti” in dialetto).
Sulla carta d’identità di un signore di Mala ho trovato che di professione era “sgozzatore”, in quanto veniva chiamato dalle famiglie per uccidere in modo cruento i maiali.
La carne del maiale, in gran parte trasformata in ottime lucaniche, era cibo ricco di proteine e grassi e sostentamento alimentare della maggior parte delle famiglie di “Quando eravamo povera gente”, ricordando il titolo di un libro dello scrittore Cesare Marchi.
Si narra che frequentatore abituale della fiera del sabato era un sacerdote perginese, don Giocondo Ambrosi (1884-1957), il cui cognome ricorda l’ambrosia cibo degli dei e pertanto l’immortalità.
Don Giocondo dal 1932 al 1939 era stato curato a Mala e poi da pensionato si era ritirato nella casa paterna sul Tegazzo. Don Giocondo, del quale ho anch’io un sia pur vago ricordo, era stato soprannominato “don Carafa” perché non disdegnava un buon bicchiere del nettare d’uva. I miei fratelli nati qualche bel annetto prima di me, mi hanno raccontato che quando da chierichetti servivano la santa messa a don Giocondo, l’ampollina del vino veniva rapidamente esaurita.
Ricordo che il vino da messa era squisito e qualche succhiatina me la sono fatta anch’io, di nascosto dal sacrestano.
Nel 1934 don Felice Paoli (1883-1944), l’arguto sacerdote di Sant’Orsola dalla fertile rima dialettale, gli dedicò la lunga poesia “Storia Gioconda ovverossìa, òrco d’un mondo, Le aventure de Don Giocondo”.
Sono ben 10 pagine di goliardica poesia in rima e in una pagina rivive il personaggio ecclesiastico nella veste di “sensar” rivelando la sua autentica vocazione.
Allora mandare un figlio a studiare in seminario era un duplice investimento, per prima cosa una bocca in meno da sfamare e poi la possibilità di poter studiare.
I seminari allora erano pieni, iniziavano gli studi in tanti e un discreto numero veniva ordinato sacerdote, come è accaduto a don Giocondo che diligentemente ha assolto ad entrambe le sue vocazioni: prete e abile mediatore.
Sempre a proposito di foro boario ricordo che negli anni '60 venne spostato a Brazzaniga; stavano cambiando i tempi e il commercio di animali iniziava in altre forme.
La satira locale, attiva in particolare durante il periodo di carnevale, nelle “Litanie de Perzen” così cantava: Anca en comune i ha conbinà en divario,
enveze che le scole, i ha fat su el foro boario.
Quattro erano poi, oltre al canonico giorno di mercato del sabato, le fiere principali:
1. Fiera della Madonna della Ceriola o della Candelora (3 febbraio).
2. Fiera della Festa grande (8 settembre).
3. Fiera del Rosario (3 ottobre)
4. Fiera S. Tommaso (21 dicembre).
Nel 1815 il sindaco della borgata Antonio Gasperini ottenne dalle autorità superiori l’autorizzazione a prolungare di un giorno la durata delle quattro fiere principali, la cui durata ordinaria era di un solo giorno.
LA STORIA GIOCONDA DEL PRETE E "SENSAR"
Abile agente e brao sensar,
sempre ‘l s’entriga en ogni afar,
e chi a Mala ghe domandas,
senza dipender no i fa un pas:
se gh’è de far qualche contrat,
no i lo conclude senza ‘l curat:
un vende fruti, un compra un prà,
cole galete un l’è ‘mbroià,
ma for d’imbròi ben prest l’è
che don Giocondo per gnent no gh’è;
se un de vender gà un vedel,
anca per questo ricore a el
che ‘l sa preciso cossa che i paga,
pù che tranquilo ognun el staga,
‘l sà i prezi, ‘l fa la stima,
e sensarando tut el combina;
se un qualcos vol far vegnir,
done che machine vol de cosir,
basta parlar, e ‘n dit e ‘n fat
tut ghe recapita ‘l sior curat;
na vaca veccia opur che bura
la ‘l ghe fa vender senza paura;
de muli e aseni ’l tegn en cà
na zerta anagrafe con tut notà;
nome e cognome e i sò ani,
la provenienza, se i è taliani,
se i gà difeti, e con competenza,
se i è testardi, grado de scienza;
senza de elo a Mala mai
no i contrata sti animai,
un vende o compra mul o mussat,
sempre ‘l se mete ‘n man del curat.
Se gh’è na fera a Zivezan,
perfin a Borgo, Trent o Vezan,
na qualche volta un pret rotondo
gh’è che somìa a don Giocondo:
se ala fera a Perzen te vai,
lì don Giocondo no manca mai,
sul Marchedel no stà a zercarlo,
che l’è difizile de lì trovarlo;
al pù n’occiada a ogni banchet,
ma po’ ‘n pressa ‘l và diret,
no stà a zercarlo né chì né lì,
ste voi trovarlo vei drìo a mi:
enfont la piaza de fronte ai Frati
nel gran riparto muli e mussati
lì che l’esamina con competenza,
se i gà difeti e provenienza,
tant che la gente gà l’impression
che ‘l sia propi un sensaron
o qualche celebre veterinari
che lì sorveglia tuti i afari;
fin nei raparti vache e ruganti
girar se ‘l vede, i lo dis tanti,
e far la parte de brao sensar
tanto sul vender che sul comprar,
‘l ghe fa vender a un Malarot
na vacca veccia, comprar un ciot,
chì ‘l varda ‘n bocca na vedela,
ma un scornon ‘l ciapa ‘n quela
e ‘l và a finir tra i benei
su na coada de rugantei,
urtando ados anca al patron
che và per tera a svoltolon:
entant entorno se fa la zent,
ma per fortuna no ‘l s’ha fat gnent,
e dei contrati ‘l fa la fin
lì ai Canopi al taolin,
dove un crida, l’altro s’emponta
e ‘ntant i litri pù no se i conta,
e tuto questo senza patente
per aiutar la pora gente:
quanti pericoi, òrco d’un mondo,
e sacrefizi per don Giocondo!
Unica e sola consolazion
la asinina sò invenzion,
riconossuda e brevetada,
de pù sul luogo pò ricordada,
dove ai posteri ‘l passerà
col so mussato lì lapidà.