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Massimiliano Pontillo: «La mia svolta green, nata per caso»


Massimiliano Pontillo

Massimiliano Pontillo, imprenditore romano, manager del Terzo settore, giornalista e comunicatore, ci parla di ambiente e sviluppo sostenibile partendo dalla sua storia che ora, dopo la pandemia, è diventata la storia di tutti noi...


di GIUSEPPE FACCHINI


Pontillo, come si è avvicinato alle tematiche ambientali?

«Per ironia della sorte provengo da una famiglia di costruttori e da giovane non conoscevo Legambiente. Ho studiato giurisprudenza, volevo fare il magistrato, stavo per diventare avvocato, avrei voluto occuparmi di diritto societario... ».


E invece?

«Invece nel 1996 svolsi il servizio civile in Legambiente e da lì per me iniziò una nuova vita, sia dal punto di vista privato che professionale».


Ultimamente si parla molto di Agenda 2030. A che punto è?

«Un recente rapporto fotografa l’Italia in ritardo nel raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda e in questo ha influito anche la crisi economica. Sono peggiorati i dati su alimentazione, povertà, innovazione e occupazione; migliorati, invece, quelli sulla qualità dell’aria.»


Quanto ha inciso la pandemia sugli obiettivi dell'Agenda?

«Ha accelerato l’innovazione tecnologica di aziende, privati e professionisti. Ma, soprattutto, ha rappresentato uno spartiacque: ci siamo resi conto che si può lavorare in modo diverso.»


Il cosiddetto smart working...

«Ancora non abbiamo attivato un vero smart working, ma ci arriveremo e sarà più efficiente. La nostra impronta ecologica sarà meno impattante dal lato ambientale. Prima ci si spostava anche per brevi riunioni, che ora non ci saranno più. Arriveremo ad un mix tra lavoro nelle sedi preposte e nel proprio domicilio. È un'accelerazione assolutamente necessaria, da percorrere con un passo veloce. »


Il Covid ci ha aperto gli occhi?

«Sì, imponendo come temi principali l’ambiente e la sostenibilità. Non più settori a sé stanti, bensì un vero e proprio stile di vita diverso a cui dobbiamo legare la nostra quotidianità.»


Come si sono mosse le amministrazioni pubbliche?

«La pandemia ha accelerato una certa latitanza o timidezza del decisore pubblico, nel senso che su questi temi la politica è stata sempre un po’ indietro. E un po’ lo è stato anche il mondo dell’informazione. Ora dobbiamo fare tutti dei passi avanti anche nel raccontare lo sviluppo sostenibile – ancora poco connesso al mondo produttivo – e non relegarlo ai disastri naturali. È dimostrato che un'azienda green è molto più profit di aziende che continuano a produrre e generare servizi che non vanno in quella direzione. L’Ue ha puntato ancora di più su innovazione e sostenibilità, con finanziamenti destinati solo a progetti di questo tipo. I decisori territoriali devono rispettare tali direttive.»


Il cambiamento deve arrivare dall'alto o dal basso?

«Ora non è più possibile calare dall’alto scelte che non siano condivise e frutto di collaborazione tra chi decide e chi sta più in basso. Il singolo cittadino può essere protagonista del cambiamento, insieme a coloro ai quali competono le decisioni. L’interazione è un cardine fondamentale del cambiamento».

Cosa può fare il singolo?

«Tanto. I giovani hanno dato una forte spinta, assumendo un ruolo importante. Vogliono essere protagonisti. Il giovane capisce che è un ospite di passaggio, che ha ottenuto in prestito il suo territorio da altri che l’hanno lasciato e da buon padre lo deve mantenere nel migliore dei modi. Il cittadino deve essere più consapevole che anche quello che fa quotidianamente, pur spostando solo una virgola, è importante.»

Ad esempio?

«Buttare la carta in terra, non raccogliere l’olio di frittura in un certo modo, non fare raccolta differenziata, ad esempio, sembrano piccole cose. La somma di più virgole fa invece la differenza che cambia il mondo. Gandhi diceva che noi siamo il cambiamento che vogliamo. Siamo una forza che messa poi a sistema può accelerare il cambiamento.»

Ognuno fa la propria parte...

«Assolutamente sì. E la fa non rinviando scelte a proiezioni future che lasciano il tempo che trovano. Le azioni che ognuno di noi mette in campo devono essere misurabili. Io produco determinate cose e devo misurare quel prodotto, quel servizio, sapere quale risultato ha dato in termini di sostenibilità ambientale, una cosa che non c’è mai stata in passato.»

E sul fronte della comunicazione come si può agire?

«Ci vuole consapevolezza culturale e pure il racconto di queste tematiche deve essere diverso: meno spettacolarizzato e più attuale, connesso con il sistema produttivo. Oggi non si parla più di cambiamento climatico. Quella che stiamo vivendo è una crisi climatica e anche noi attori dell’informazione dobbiamo stare attenti nel comunicare dando informazioni corrette, con un linguaggio più coerente. Dobbiamo metterci in testa che insieme si possono migliorare le cose. Bisogna fare sistema e non guardare solo al proprio territorio. Sono interessi legittimi, ma devono essere proiettati verso un benessere comune.»

Per qualcuno potrebbe sembrare un passo indietro...

«Se sembra un passo indietro non è vero, ne stiamo facendo due in avanti. È meglio collaborare, fare alleanze, confrontarsi. Un cambio di paradigma per fare sistema e accelerare il percorso di agenda 2030.»


Come giudica il Trentino - Alto Adige su questi temi?

«Da voi trascorro alcune settimane all'anno e mi sono reso conto della cultura diversa delle persone nell’attenzione al territorio. Non una decrescita, ma uno sviluppo compatibile con i parametri ambientali e questo l’ho notato in tanti ambiti. Le altre regioni d'Italia hanno sicuramente da imparare dal marketing territoriale green che rende la vostra regione un esempio virtuoso.»


Ha collaborato l'avvocato

Giuseppe Origlia


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