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Latino lingua viva: "Mantua me genuit"





di LINO BEBER


La celebre iscrizione funebre Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces (Mantova mi generò, la Calabria mi rapì e ora mi tiene Napoli, cantai i pascoli, le campagne, i condottieri) è incisa sulla tomba di Virgilio a Napoli nel Parco Vergiliano a Piedigrotta. La leggenda narra che l’epitaffio – dal greco epi (sopra) + tafòs (tomba) – sarebbe stato dettato dallo stesso Virgilio in punto di morte.

Nell’iscrizione sono riassunti i luoghi e l’opera del poeta.

Publio Virgilio Marone nacque il 15 ottobre del 70 a.C. ad Andes, identificata con l'attuale Pietole, frazione di Borgo Virgilio, vicino a Mantova.

Calabri rapuere: Morì nel Salento in Puglia, all’epoca chiamato Calabria, e precisamente a Brindisi.

Tenet nunc Parthenope: fu seppellito a Napoli.

Cecini: dal verbo latino canere, (cantare, quindi cantai) in riferimento alle sue tre opere più importanti che trattarono: pascua (pascoli) ovvero le Bucoliche, rura (campagne) le Georgiche, duces (i duci, i condottieri, gli eroi), vale a dire l'Eneide.

Virgilio è considerato il massimo poeta di Roma e interprete del grandioso momento storico che, dalla morte di Giulio Cesare (44 a.C.), conduce alla fondazione del Principato e dell’Impero con Augusto (63 a.C. - 14 d.C.).Virgilio frequentò la scuola di grammatica a Cremona, nel 53 a.C. studiò retorica a Milano approfondendo latino, greco, medicina e matematica e poi frequentò la scuola di filosofia a Napoli, dove si avvicinò alla corrente filosofica epicurea e infine la scuola di retorica a Roma, dove conobbe molti poeti e uomini di cultura e si dedicò alla composizione delle sue opere. Nella capitale studiò eloquenza alla scuola di Epidio per diventare avvocato e politico, ma l’arte oratoria non era la sua aspirazione e decise di tornare a Napoli nel 38 a.C. per seguire gli studi filosofici e dedicarsi alla poesia. Mecenate (68-8 a.C.) gli aveva assegnato un podere in Campania e, grazie a lui, Virgilio entrò in contatto con Augusto. In Campania terminò le Bucoliche – dal greco bukolos (mandriano, quindi l’allevamento degli animali domestici) – e compose le Georgiche – dal greco gea (terra) + ergon (lavoro, pertanto il lavoro dei campi) dedicate al protettore e amico Mecenate.

Dopo il 29 a.C. Virgilio iniziò a comporre l’Eneide per celebrare l’imperatore Augusto, al quale aveva letto alcune parti dell’opera.

Sulla via di ritorno dalla Grecia, dove si era recato per vedere i luoghi in cui si erano svolti i fatti, completare l’opera, arrivato a Brindisi morì il 21 settembre del 19 a.C. e, prima di morire, raccomandò ai suoi compagni di studio di distruggere il manoscritto dell’Eneide perché non aveva fatto in tempo a rivederlo. Fortunatamente il manoscritto fu consegnato all’imperatore e in breve tempo divenne il poema nazionale romano. Le spoglie del grande poeta furono poi portate a Napoli.

L’Eneide (Aeneis) è un poema epico composto in 10 anni e suddiviso in 12 libri con 9.896 esametri. La monumentale opera fu considerata alla stregua di un’Iliade latina diventando il libro ufficiale sacro all’ideologia del regime di Augusto sancendo l'origine e la natura divina del potere imperiale. Narra la storia di Enea, figlio dell’umano Anchise e della dea Afrodite, esule da Ilio e fondatore della gens Iulia.

Nell’Alto Medioevo (476 – 1000) Virgilio fu letto con ammirazione, il che permise alle sue opere di essere tramandate completamente. L'interpretazione dell’opera virgiliana utilizzò largamente lo strumento dell’allegoria: al poeta fu attribuito il ruolo di profeta di Cristo, sulla base di un brano delle Bucoliche (la IV ecloga) annunciante la venuta di un bambino che avrebbe riportato l’età dell'oro e identificato con Gesù. Virgilio fu quindi rappresentato come vate, maestro e profeta nella Divina Commedia da Dante Alighieri, il quale ne fece la propria guida attraverso i gironi dell'Inferno e del Purgatorio. Virgilio fu costantemente presente nella letteratura italiana con Francesco Patrarca (1304-1374), Poliziano (1454-1494), Jacopo Sannazzaro (1457-1530), Lodovico Ariosto (1474-1533), Torquato Tasso (1544-1595) che a lui s’ispirarono e il fascino dell’opera continua tuttora.


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