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La Valsugana s'interroga sulla piaga della violenza contro le donne

Immagine del redattore: il Cinqueil Cinque

Da sinistra Civitella, Bozzola, Cavagna, Stefani e Tosin (Foto Ivan Piacentini/il Cinque)


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di IVAN PIACENTINI

Incontri promossi da Castel Ivano,Ospedaletto, Samone e Scurelle. Donne sempre più nel mirino, un problema internazionale; cosa dice la legge e come tutelarsi


«Una piaga della nostra società, dolorosa come mai in questo ultimo periodo. L’argomento è estremamente attuale e c’è bisogno che le donne sappiano dove andare e cosa fare in caso di emergenza».

Queste le parole con cui, Ezia Bozzola, assessore alle Politiche Sociali e familiari e rapporto con la Scuola di Castel Ivano, ha aperto l'incontro sul tema “violenza di genere”.


PRIMO DI UNA SERIE DI INCONTRI. L'incontro si è svolto, il 16 settembre scorso, presso l’albergo Nazionale di Castel Ivano e si è trattato del primo di una serie di appuntamenti sul tema, organizzati in collaborazione tra i comuni di Castel Ivano, Ospedaletto, Samone e Scurelle.

Presenti anche Genny Cavagna, vicesindaco di Ospedaletto, e Diana Stefani, assessore alla Cultura, Politiche Sociali e Politiche giovanili di Samone.

Oriano Tosin, tecnico di difesa personale MGA (Metodo Globale Autodifesa) della Fijlkam (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali), ha introdotto il problema sottolineando la necessità di rendere le persone più consapevoli: se da un lato il grande pubblico comincia a sapere dell’esistenza del problema, dall’altro sembra mancare la capacità di farlo proprio, di imparare a coglierne i segnali e soprattutto di non voltarsi dall’altra parte.


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UN PROBLEMA INTERNAZIONALE.

Alice Civitella, laureata in Human rights and multi-level governance alla Facoltà di Scienze politiche e relazioni internazionali a Padova, ha presentato la tematica della violenza di genere a livello internazionale. Uno scenario complesso che sconta numerose difficoltà, provocate in larga parte dalle enormi differenze culturali esistenti al mondo e dal fatto che l’adesione di uno Stato ai trattati, unico strumento giuridicamente vincolante, sia su base volontaria.


IL TRATTATO DI INSTANBUL. Nella realtà europea è in vigore il trattato di Istanbul, che istituisce una rete di tutele per le vittime di violenza di genere. Gli Stati sono tenuti a fare tutto ciò che è possibile per prevenirla, proteggerne le vittime e punire i colpevoli. La definizione di violenza individuata dal trattato non si limita a quella fisica, ma comprende anche altre forme come quella psicologica o economica. Purtroppo la convenzione di Istanbul è un trattato volontario da cui si può uscire come ha fatto la Turchia. Una nota positiva: negli ultimi decenni, nelle questioni di diritti, discriminazioni e violenza di genere si assiste a un cambiamento dal basso, a livello sociale. Per Civitella «l’unica cosa possibile per ora è cercare di agire nel nostro piccolo. Non guardare dall’altra parte, certo, ma anche imparare a difendersi».

COSA DICE LA LEGGE ITALIANA.

In seguito Tosin ha illustrato la legge italiana. Questa considera ogni atto di violenza (comprese minacce, coercizione e privazione della libertà, in sede pubblica o privata) fondato sul genere, che abbia come risultato (o possa averlo) un danno o una sofferenza fisica o psicologica. Il “possa averlo” è un particolare vitale: un atto non deve necessariamente portare a delle conseguenze. Non mancano in ogni caso le difficoltà, tra cui l’esigenza di ricostruire una situazione di abusi che nella maggior parte dei casi si verifica in ambienti domestici, in assenza di testimoni. Le stesse vittime spesso non trovano il coraggio di denunciare perché dipendenti economicamente dal carnefice, o perché temono lo stigma di una società (quella italiana) che ancora troppo spesso le colpevolizza.

LE CAUSE DELLA VIOLENZA. Di società si è parlato anche indagando le cause della violenza. Fino al 1945 in Italia la donna non aveva personalità giuridica, e per anni è stata inserita in un sistema di leggi che la rendeva poco più di un oggetto: basti pensare al reato di adulterio (abolito nel 1968) che prevedeva la reclusione per gli amanti. O al delitto d’onore (abolito nel 1981), con una pena massima di sette anni se un uomo uccideva la moglie, la figlia o la sorella scoprendole in una “illegittima relazione carnale”.

Il passaggio della donna a persona vera e propria, con precisi diritti, innesca ancora troppo spesso in alcuni maschi una reazione di inadeguatezza, di paura di perdere il proprio ruolo, preludio alla violenza. Non a caso, nella maggior parte dei casi di violenza di genere i carnefici sono mariti, fidanzati o ex.

Spesso tutto si traduce in un reato sessuale, cioè la costrizione a compiere atti sessuali, con violenza o minaccia. Un’altra definizione ampia, subito chiarita: si parla di qualsiasi atto non consensuale che riguardi la sfera sessuale (anche considerato a sproposito “leggero”).

Il reato però non è perseguibile d’ufficio: il procedimento penale inizia solo dopo una querela.

In compenso i tempi per sporgerla sono lunghi: un anno, per permettere alla vittima di elaborare e tutelarsi.

Al tempo stesso la querela non può essere ritirata per evitare ripensamenti legati a ricatti o condizionamenti.

Esistono anche gli strumenti, poco conosciuti, per tutelarsi dalle ritorsioni sessuali come la diffusione di immagini personali: un reato, anche qui punibile su querela, che prevede la reclusione fino a sei anni per chiunque condivida le immagini.

IL CODICE ROSSO. Per intervenire dove il rischio di una escalation è presente, è stato approvato recentemente il “codice rosso”: ci sono stati diversi casi di donne uccise per mancanza di una presa in carico tempestiva da parte dello Stato. Il codice rosso accelera proprio questa presa in carico da parte della Procura, dandole massima priorità e consentendo di intervenire con misure radicali.


COGLIERE I SEGNALI. In conclusione, Tosin ha ricordato l’importanza di consapevolezza e prevenzione. Il tessuto sociale deve imparare a cogliere i segnali e a dialogare con le forze dell’ordine: la legge dà la possibilità di segnalare ai Carabinieri delle possibili violenze, e sarà poi cura dell’Arma controllare, mentre il cittadino non risulterà agli atti. Vitale è anche l’educazione dei più giovani, dato che troppo spesso la violenza si apprende da un modello genitoriale, o da un contesto sociale: «Donne e uomini, ma anche le scuole, devono educare i bambini fin da piccoli al fatto che la donna non è un oggetto».






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