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La ri-scoperta dell'allattamento



di SOFIA TURRA

Cari lettori, come state? Io scrivo questo articolo da una location di mare, dove sto trascorrendo qualche giorno di relax con la mia famiglia. Come sapete, mi occupo di sostegno all’allattamento e alla genitorialità, e per questo mese ho pensato di proporvi un nuovo articolo proprio sulla storia dell’allattamento, o meglio, su come questo gesto naturale, istintivo, naturalmente connaturato all’essere femminile, sia stato negli anni screditato, per poi tornare di grande interesse vista la sua importantissima funzione di protezione della salute pubblica. Cominciamo.

Fino a non molto tempo fa, l’innata capacità delle madri di allattare non veniva messa in discussione dalla maggior parte delle persone ed era normale considerare il latte materno come la fondamentale fonte di nutrimento di neonati e bimbi piccoli. La fiducia nella capacità dell’organismo femminile di iniziare e portare a termine una gravidanza si estendeva anche alla capacità materna di rispondere adeguatamente ai bisogni di nutrizione del proprio bambino. Questa fiducia si fondava su tutte quelle competenze e conoscenze profonde e antiche che hanno permesso per millenni alle donne (al pari di tutti gli altri mammiferi) di soddisfare le esigenze del proprio cucciolo.

Ad un certo punto della storia, però, questa fiducia ha cominciato a vacillare e, anno dopo anno, si è consolidato un processo di screditamento verso la norma biologica dell’allattamento (cioè il considerarlo il modo naturale di nutrire i neonati), e verso le innate competenze generative e nutritive che ogni donna, in quanto mammifero, possiede.

Ma vediamo insieme quando e come questo sia effettivamente accaduto.

I sostituiti artificiali del latte materno hanno fatto la loro prima comparsa verso la fine del XIX secolo, inizialmente negli Stati Uniti e poi, via via, anche negli altri Paesi occidentali e in via di sviluppo. Parallelamente al loro progressivo insediarsi nel mercato dei beni di consumo e nella cultura della società di allora, i tassi di allattamento iniziavano il loro declino. Uno dei fattori determinanti per questo calo riguardava l’ingresso nel mercato del lavoro da parte di sempre più donne che, imbrigliate in assetti produttivi e organizzativi poco (o per nulla) attenti alle loro esigenze e a quelle dei neonati, si trovavano costrette ad abbandonare l’allattamento.

Contemporaneamente, si andava diffondendo un approccio sempre più clinico e medicalizzato alle cure neonatali, che ha facilitato un controproducente (almeno per mamme e bambini) cambio di ruoli: non era più la madre, con la sua fisiologia e il suo bagaglio di competenze innate, a rappresentare la figura di riferimento nella gestione del proprio neonato, bensì lo specialista. Si andarono così diffondendo numerose pratiche mediche e cliniche che, alla luce di quanto ci dicono le evidenze scientifiche attuali, non facevano altro che porre ostacoli, talvolta anche fatali, all’avvio naturale dell’allattamento. Alcuni esempi sono: la separazione di mamma e neonato subito dopo il parto, la somministrazione di soluzioni glucosate per consolare il pianto dei bambini, la doppia pesata (subito prima e subito dopo ogni poppata), l’allattamento ad orari rigidi (ogni tre ore con, per di più, l’introduzione immediata di ciucci e tettarelle per la somministrazione di tisane e camomille).

Come ultimo, ma decisivo fattore, ci fu la massiccia e non regolamentata promozione dei sostituiti del latte materno (almeno fino al 1981, anno dell’approvazione del Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno dell’OMS), con tanto di esplosione delle forniture gratuite di latte artificiale ai reparti maternità degli ospedali. Fu decisivo poiché, sull’onda del progresso e della modernità che investiva tutti i settori della vita dell’epoca, indusse i genitori a ritenere questi prodotti più sicuri, moderni e adeguati per sostenere la crescita del proprio figlio.

Il risultato di queste scelte economico-sociali, protratte nel tempo, ha prodotto una società in cui risulta più “normale” e culturalmente accettabile vedere un bambino nutrito col biberon piuttosto che allattato, una società pronta a puntare il dito contro la scelta materna di allattare ogniqualvolta il bambino mostri qualche comportamento etichettabile come “scomodo” (richieste di contatto frequenti, ritmi sono-veglia poco prevedibili, numerosi risvegli notturni, ecc.), una società poco preparata, empatica ed accogliente nei confronti di tutte quelle madri che desiderano allattare (circa il 96,5% delle donne in stato di gravidanza intervistate nell’ambito dell’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2012 – Rapporti ISTISAN 12/39), che necessitano di informazioni scientificamente corrette prima e dopo la nascita del loro bambino, e che risultano maggiormente bisognose di un supporto informato e solidale nei (fisiologici) momenti di stanchezza e difficoltà.

Ogni madre merita di essere ascoltata, accettata e non giudicata nelle scelte che compie per nutrire il proprio bambino. Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare affinché questo atteggiamento di accettazione e non giudizio torni ad interessare anche le mamme che allattano. Ecco perché sentiamo sempre di più parlare di iniziative di protezione, promozione e sostegno dell’allattamento, per permettere a quest’ultimo di riconquistare il suo valore di norma biologica e di priorità per la salute pubblica.

Sofia Turra è consulente per l'allattamento, insegnante di massaggio neonatale ed educatrice perinatale in formazione.





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