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«Io, discendente di Vittorio Emanuele II» La storia di Fabrizia Bort

Aggiornamento: 24 feb 2021


Fabrizia Bort, appassionata di lettura e scrittura residente a Civezzano, fin da piccola ha coltivato la passione per la storia e, nel corso degli ultimi anni, sta ricostruendo il suo “intricato” albero genealogico partendo dal ramo paterno. Questa ricerca è risultata molto difficoltosa per la mancanza di vari tasselli importanti nelle generazioni passate e ha condotto verso esiti inaspettati. Questo il suo racconto.


Mia nonna paterna aveva un fratello (Vittorio) e una sorella (Antonietta Andreina Stofella/Stoffella, nata a Trento l'11 giugno 1898), di cui io però non ero a conoscenza.

Nelle battute iniziali della mia ricerca mi sono resa subito conto delle difficoltà a cui andavo incontro, visto che una delle zie aveva posto un veto al mio lavoro, ma io volevo scoprirne di più. In famiglia, infatti, non si poteva parlare della mia prozia Antonietta, ma nel tempo ho scoperto alcune informazioni sul suo conto. Lei era partita per il Brasile anni or sono e non si avevano sue notizie, fino a quando arrivò una lettera di ben venti pagine scritta di suo pugno a matita in cui raccontava che si trovava in terra brasiliana. Si era sposata a Vattaro con un uomo vedovo, Emanuele Rizzi (nato il 12 giugno 1899 a Vattaro), e dopo un anno si erano trasferiti in Brasile col figlio del marito.

La passione per la storia e la voglia di ricercare a fondo le origini della mia famiglia, mi portano a richiedere più volte questa lettera, fino a ritrovarla.

Ho chiesto quindi un aiuto ad Alberto Folgheraiter. Dai documenti della Curia trentina è emerso che la prozia Antonietta aveva vissuto un anno a Vattaro e suo padre era un figlio illegittimo. Di questo si viene a conoscenza dalla dicitura “Laste" nella casella anagrafica, che riporta al primo orfanotrofio alle Laste di Trento, un luogo in cui andavano a partorire sia le “serve” messe incinta dai padroni, che le signore che nascondevano le nascite frutto di relazioni extraconiugali.


Mia nonna ricercava già all’epoca del suo matrimonio le sue radici attraverso le informazioni che potevano fornire i preti e i frati; proprio uno di loro le diede una foto con la dicitura “Conte Mirafiori” posta sul retro. Io pensavo spesso a Mirafiori, ma l’unico collegamento che ritrovavo portava allo stabilimento della FIAT a Torino ed ero effettivamente fuori strada.

Il punto di svolta avviene però quando Alberto Folgheraiter mi racconta dei particolari fondamentali per l’intera vicenda: Vittorio Emanuele II veniva spesso dall’Austria in Italia sotto falso nome…e il nome è proprio Conte Mirafiori.

Il Conte si era anche momentaneamente trasferito nella Bassa Mantovana, dove si innamorò perdutamente di una ostessa, la “Bela Rosin" (citata anche nei libri di storia), che voleva sposare, ma, essendo già coniugato e con una prole di ben otto figli, dovette rinunciare a queste nuove nozze. Nonostante ciò mise in crisi la ragion di Stato visto che dalla ostessa ebbe due figli. La sua corte alla fine acconsentì alla nozze, ma la sposa fu definita “moglie morganatica”, cioè priva di diritti su dinastia e denaro, ma almeno così venivano salvaguardati i due figli nati dalla relazione e ribattezzati Mirafiori, una dinastia creata ad hoc per poter fornire loro il lignaggio.

Coincidenza vuole che del passaggio di Vittorio Emanuele II in Trentino si siano conservati i resti dei baiti a Brusago.

In tutto ciò, la dicitura “Conte Mirafiori” ha assunto ormai una chiara identità nel mio albero genealogico e si può dunque supporre che la mamma di nonno Nicolò abbia incrociato Vittorio Emanuele II in quelle circostanze e che dal loro incontro sia nato questo bambino. Di conseguenza, anch’io sono una lontana discendente del cosiddetto Conte Mirafiori, pseudonimo sotto il quale si celava per “ragion di Stato" Vittorio Emanuele II.


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