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Bruno Lucchi: lo scultore dell'anima approda al Molo 51







di JOHNNY GADLER

Unendo alcune aree commerciali dismesse all’ingresso di Levico Terme, l’artista Bruno Lucchi e la moglie Graziella Falchi hanno dato vita al Molo 51, una vasta area dove trovano collocazione le opere realizzate nel corso di oltre 45 anni di attività artistica, ma dove si vogliono promuovere anche incontri culturali e conviviali. Nostra intervista all'artista...


Bruno Lucchi, com’è nata la Sua passione per l’arte?

«Mi è sempre piaciuto disegnare sin da piccolo e alle medie addirittura decorai tutta la sala da pranzo del collegio in cui mi trovavo con i disegni del celebre fumettista Jacovitti. Quando mi chiedono un’opinione su un artista rispondo sempre: Guardate come disegna. Se disegna bene il discorso funziona, altrimenti è come con la grammatica: se ti mancano le basi non puoi andare lontano».


Dopo le medie, quindi, si iscrisse all’Istituto d’Arte?

«Non subito. I miei genitori volevano che frequentassi l’Istituto tecnico. Provai per un anno, ma era l'antitesi delle mie passioni. Quell’anno, tuttavia, partecipai a un concorso di disegno denominato “Juventus”, aperto agli studenti di tutti gli istituti di Trento. Ebbene, fui proprio io a vincere il primo premio, così riuscii a convincere i miei genitori a trasferirmi all’Istituto d’Arte».



Poi come proseguì gli studi?

«Mi iscrissi al Magistero di Belle Arti a Urbino. Inizialmente scelsi l’indirizzo di decorazione pittorica, ma il primo giorno di scuola il preside ci prospettò la possibilità di passare ad altre sezioni che contavano pochissimi iscritti.  Così feci disegno animato, dove trascorsi due anni stupendi perché svolgevamo le lezioni collettive assieme a tutti gli altri, mentre per quelle di tecnologia, di fotografia, di cinematografia e di progettazione avevamo una classe composta solo da sei studenti, con degli insegnanti meravigliosi e molto motivati».


Poi, finita la scuola?

«Ancor prima di finire la scuola, un giorno mi arrivò la lettera di Bruno Bozzetto,  famosissimo animatore, disegnatore e regista, che era interessato ad assumere giovani di talento. Così partii speranzoso per Milano con la mia cartella e i miei disegni. Il colloquio andò bene, ma non avevo ancora assolto gli obblighi di leva. Lui disse: “Parti per militare e quando torni il posto è tuo”. Così feci, ma al momento del congedo il posto non c’era più».


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Quindi che fece?

«Rientrai a Levico svolgendo per un po’ il ruolo di sostituto portalettere. Nel frattempo continuai a disegnare e così nel 1974 realizzai la mia prima mostra in una galleria. Poco tempo dopo incontrai Graziella, mia futura moglie e Musa ispiratrice della mia arte e della mia vita. Fu in quel periodo che andai a bottega da Fior Candido, uno dei maggiori maestri ceramisti della scuola bassanese, dove appresi la lavorazione della ceramica. Subito dopo io e Graziella, convinti che il lavoro da dipendente non facesse al caso nostro, avviammo un piccolo laboratorio di ceramica.

Il lavoro andava bene, tanto che acquistammo lo studio di via Marconi,  vicino al Parco, dove nel 1988 aprimmo la Galleria Falchi. All'inizio ospitavamo mostre di altri artisti; in seguito, visto che il tarlo dell’arte continuava a rosicchiare, decisi di esporre solo opere mie. Nel 1998, infatti, vendemmo il laboratorio di ceramica e cominciai ad occuparmi solo di arte».


Com'è essere un artista?

«È un mestiere bellissimo, ma assai faticoso e impegnativo. Innanzi tutto perché non esiste una scuola che ti insegni il mestiere dell'artista. Devi essere tu a costruirti la tua strada, passo dopo passo. La vita da artista è un'avventura. Una sfida, un viaggio continuo tra studio, forma, ricerca, curiosità. Lo scultore lavora sempre. A qualsiasi ora del giorno e della notte pensa, crea, cerca, desidera, sperimenta, indaga, immagina, esplora. La mia vita la vivo così; anzi aggiungerei anche: sogno. In secondo luogo per mantenere una buona manualità occorre esercitarsi almeno 8 ore al giorno, ma il lavoro non si esaurisce esclusivamente nel momento creativo e realizzativo. Ci sono le fiere d’arte a cui partecipare per farsi conoscere, la gestione delle opere da inviare e ritirare presso le varie gallerie, senza parlare del fardello burocratico tipico di ogni libero professionista. Per fortuna al mio fianco c’è Graziella che tiene le redini di tutti questi aspetti collaterali ma indispensabili, lasciandomi così concentrare totalmente sulla fase artistica vera e propria. Tutte le scelte che abbiamo fatto sono state sempre condivise. Se avessimo avuto visioni divergenti di certo non avremmo mai raggiunto questi traguardi, che mi hanno portato a lavorare non solo fuori regione, ma anche fuori Italia, nel resto d’Europa».


Però avete sempre mantenuto la vostra base a Levico. Non avete mai pensato che una grande città avrebbe potuto aprirvi  maggiori possibilità?

«Probabilmente è così, ma siamo rimasti per una serie di ragioni pratiche – la scultura necessita di ampi spazi e in una grande città i costi sarebbero proibitivi – ma soprattutto affettive. Per me mantenere il rapporto con il luogo delle mie origini è fondamentale e credo che traspaia anche dalle opere che realizzo: osservandole, tutti capiscono che vivo in un luogo tranquillo e sereno come Levico e il Trentino. Una valida alternativa potrebbe essere la regione di origine di mia moglie, la Sardegna, ma essendo che noi e le nostre opere siamo perennemente in movimento, avere il mare di mezzo sarebbe piuttosto complicato».


Eppure alcune Sue opere viaggiano solo per mare…

«Vero. Nel 2005 un amico gallerista, curatore artistico anche della Costa Crociere, mi suggerì di presentare qualche proposta per la nave Costa Magica. I loro architetti mi chiesero un’opera alta 5 metri e mezzo. Non ne avevo mai realizzate di così imponenti e mi preoccupava il fatto che la scultura fosse in terracotta, con tutte le componenti di fragilità nel costruirla, nel cuocerla, nel trasportarla e nel montarla. Dato che il contratto prevedeva una serie di penali molto onerose in caso di mancata consegna, quello fu senz’altro il periodo più stressante della mia vita. Lavoravo giorno e notte, tanto che in sei mesi dimagrii di 10 chili per la tensione. Alla fine riuscii  nell’impresa – una troupe francese realizzò addirittura un documentario su quella installazione ciclopica – e l’opera venne talmente apprezzata che in seguito la Compagnia me ne commissionò altre tre per altrettante navi della flotta».


Un richiamo al mare lo ritroviamo anche nella vostra nuova sede espositiva, il Molo 51 a Levico. Perché questo nome?

«Molo perché la planimetria di questa nostra nuova sede ricorda proprio un pontile. E poi in molte zone portuali i moli sono stati trasformati in laboratori e centri culturali. Senza contare il significato semantico del termine: il molo è quel luogo dove le merci arrivano, stazionano e poi ripartono per un altro dove, proprio come avviene per le mie opere. Il numero 51, invece, ricorda l'anno di nascita mio e di Graziella».


Che cos’è il Molo 51?

«Innanzi tutto uno spazio  fisico dove collocare tutte le mie opere realizzate in 45 anni di lavoro, ma aspira ad essere soprattutto un luogo in cui ritrovarsi per parlare di arte e di bellezza, dove proporre performance artistiche di varia natura e, perché no, ospitare pure dei momenti conviviali».


Qual è la funzione dell’arte?

«Per millenni la funzione primaria dell’arte è stata quella di decorare e rendere più bello un luogo. Tuttavia negli ultimi decenni è cambiato tutto. L'arte contemporanea la vedo come un luogo che racchiude le contraddizioni del nostro tempo: solitudini, silenzi, nichilismo, assenza di valori. La vedo come un recipiente in cui si riversano “manufatti” provocanti, irritanti, volgari, trasgressivi, che lasciano interdetti. Certo, sorprendono. Procurano stupore, ilarità, calamitano lo sguardo, ma parlare di Bellezza, di Arte, mi sembra sia un po' esagerato. L'attenzione al dettaglio che metteva Giotto, mentre realizzava gli affreschi nella Chiesa di Assisi,  nel disegnare le dita delle mani, colorare le pieghe dei vestiti, la cura e l'attenzione che poneva ai particolari degli occhi o delle foglie di un albero, sapendo che nessuno avrebbe potuto scorgere quei dettagli, questa è Arte. Follia? Sta di fatto che, a distanza di secoli, milioni di persone si recano nella città di Francesco a vedere gli affreschi del pittore toscano. La Bellezza vera, nasce, fiorisce, ma non si volatilizza in un semplice “wow”. Di fronte alla Bellezza il sentimento è altro, ci si sente sciogliere. Oggi, basta mettere un oggetto sotto un teca di vetro e “voilà!”, ecco un nuovo artista. Non sono d'accordo. Bisogna opporre resistenza, Resistenza dolce, alla banalità dell'arte. A questi “capolavori” del nulla. Tutto  oggi viene spettacolarizzato. Tutto deve fare rumore per attirare attenzione. Ci soffermiamo sull'eccesso, e perdiamo il bello nascosto dal clamore. Ci hanno sedotti. Hanno rubato la nostra curiosità. Dobbiamo re-imparare a guardare. La prima attività del mio lavoro artistico consiste nel girovagare alla ricerca di stimoli. Sono un “cacciatore” di stimoli. Con attenzione, li guardo, li colgo. Poi li studio, li rielaboro. Li trasformo in Arte. Sculture. L'amico Ezio Bosso diceva che la musica classica è libertà, per questo la definiva “Libera”. Tutta l'Arte lo è: libera».


L'arte, come la musica, può essere anche terapeutica. Di recente la Fondazione Ronald McDonald ha acquistato una sua opera calandola nel contesto di “A Casa in Ospedale”, uno spazio accogliente dove sentirsi a casa nel cuore dell’ospedale dedicato alle famiglie con bambini in cura al Policlinico Sant’Orsola di Bologna. Che effetto Le ha fatto? 

«Gli steineriani portano avanti da sempre il concetto di arteterapia e in questa occasione anch’io mi sono reso conto che con l’arte e la bellezza i luoghi possono diventare ancora più speciali. A dire il vero non conoscevo affatto questa fondazione. Anzi, quando pensavo a McDonald avevo in mente solo la grande catena ristorativa che tutti conosciamo. Pensavo fosse solo business, invece con grande sorpresa ho scoperto una realtà che attraverso la sua Fondazione promuove progetti davvero meritori come l’Arteterapia negli ospedali pediatrici. Finora, però, non avevano mai acquistato sculture. Dopo aver visto una mia mostra la direttrice della Fondazione, Maria Chiara Roti, mi ha contattato e così d’ora in poi la mia scultura “Attesa”, che ispira speranza conforto e gioia, renderà più leggero l’animo di chi stazionerà in quel luogo aspettando le cure».


Un consiglio a un giovane che vuole fare l’artista...

«Mi è difficile dare consigli. Ogni persona ha una propria vita, “costruita” da esperienze, incontri, sentire diversi. La realtà è che l'Arte non va spiegata. Più che consigli, penso che noi, artisti senior, dovremmo dare l’esempio. L'Arte vive soprattutto grazie ad un sentimento racchiuso in una parola: Passione. Ecco forse è questo che consiglierei ad un giovane che vuol diventare artista: coltivare la passione. Come? Come faceva Van Gogh. Il pittore olandese andava continuamente a vedere musei, osservare quadri, sculture, imparare a conoscere gli artisti, la loro vita. Si avventurava nella natura per carpirne i dettagli, poi si portava a casa qualcosa: una suggestione, un'idea, uno spunto per riflettere. Da lì, poi, creava capolavori».


Una breve biografia dell'artista

Nato nel 1951 a Levico Terme, dove vive e lavora, Bruno Lucchi studia all’Istituto d’Arte di Trento e poi al Magistero di Belle Arti di Urbino. La terra è da sempre la materia da cui nascono le sue figure, che con il rito del fuoco egli trasforma prima in terracotta e poi in bronzi e porcellane. Di recente la sua ricerca abbraccia nuovi materiali: con l’acciaio Corten, da solo o abbinato al semirefrattario, si cimenta nella costruzione di installazioni enormi che trasmettono la rinnovata passione con il nuovo materiale, e con il mosaico, in tecnica moderna, rinnova l’antichissima tradizione portandola al contemporaneo. Lucchi è autore di numerose opere pubbliche e dal 1991 vanta al suo attivo più di 300 esposizioni personali e innumerevoli collettive, tutte realizzate nelle più importanti sedi pubbliche e private e in prestigiose gallerie d’arte italiane ed estere.

Di lui si sono occupate tutte le principali testate critiche nazionali (Arte, Archivio, Arte In, Forum Artis, Images Art & Life, Tema Celeste). Nel mese di dicembre 2000 il mensile Arte Mondadori gli ha dedicato un prezioso libro monografico. Nel 2005 il film-documentario “Les Gardiens du Silence”, prodotto dalla troupe parigina Astiko, ripercorre tutta la sua opera, le principali mostre personali e il suo atelier. Nel 2013 esce il primo volume monografico Dialogo con l’invisibile (Carlo Cambi Editore, Poggibonsi), seguito nel 2014 da Parole Scavate (Ed. MUSE) e nel 2018 dal terzo volume Parole scavate (Forte delle Benne, Levico). Nel 2019 pubblica I sapori dell’Arte (Publistampa) e nel 2023 Origini, catalogo dell'omonima mostra diffusa nel centro di Levico Terme, tuttora in corso.




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