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Avventure di irredenti tra altopiani e Valsugana: storie della Grande Guerra di Luca Girotto



Agli esordi della guerra italo-austriaca la relativa stasi operativa verificatasi sul fronte del Trentino orientale, ove le forze italiane (15ª divisione) avanzavano cautamente in Valsugana per allinearsi con lo schieramento già operativo dal 24 maggio davanti ai forti austriaci della piana di Vezzena, lasciò spazio a innumerevoli piccole operazioni tattiche. In queste azioni a carattere prettamente locale ebbero modo di mettersi ripetutamente in luce figure controverse di trentini rifugiatisi nel Regno e successivamente arruolatisi nelle fila del regio esercito per sostenere con l’azione gli ideali irredentistici proclamati alle folle nell’appena trascorso “maggio radioso”.

Erano uomini che, “per l’idea” avevano scelto di “combattere per la Patria schierandosi contro la Patria”. Per la vittoria di quella che consideravano la loro vera “terra madre” essi avevano preso le armi contro la nazione di cui erano cittadini. Entusiasti idealisti, trascinatori di folle e pieni di zelo patriottico per la prima, erano pertanto, e comprensibilmente, considerati solamente spregevoli traditori dalla seconda.

Non sempre le vicende che videro protagonisti questi personaggi rivestirono carattere d’eroiche imprese belliche, assumendo talora il profilo di semplici atti impulsivi, di gesti disperati o di semplici bravate. In altre occasioni è stato invece il caso a decidere in assoluto le sorti d’uomini e di cimeli. Ne possono essere esempio le vicende narrate nelle righe che seguono.


TRAVERSIE D'UN MAZZO DI CHIAVI DAI VALLONI DI CIMA 12 ALLE TRINCEE DI VEZZENA

9 settembre 1914, ore 21.00

Due uomini a braccetto, in abito da passeggio come chi s’appresti ad una tonificante sgambata post-prandiale, salivano nell’ombra della sera la via che da Borgo Valsugana per la frazione di Olle va alla malga Lanzola, alle pendici settentrionali di Cima Dodici. Il passo era quello elastico e sicuro del montanaro allenato a percorrere sin dall’infanzia le creste di confine: la più alta vetta dell’Altopiano dei Sette Comuni vicentini, stagliata netta contro il cielo rosseggiante, incombeva silenziosa.


Il più alto dei due, Giuseppe “Beppi” Piffer, era appena uscito dal Castello del Buonconsiglio di Trento dopo un mese di carcere duro e di sofferenza fisica e morale: il suo compagno di cammino e di ideali irredentisti, Ruggero Lenzi, nativo di Borgo, l’aveva atteso alla stazione ferroviaria e l’aveva convinto della necessità di una immediata fuga oltreconfine per salvarsi dalle grinfie dell’onnipresente gendarmeria asburgica. E per un “borghesano”, in quel periodo di incertezza e di sospetto, la via più immediata e sicura verso...


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