
di MASSIMO DALLEDONNE
In Valsugana e nel suo paese natale era conosciuto come “Il Tarcisio delle Alpi”. Don Almiro Faccenda nacque esattamente 116 anni fa, il 21 ottobre del 1908, a Torcegno da Giacomo e Assunta Casagranda. Ma perché l’appellativo di Tarcisio delle Alpi, che ricorda il giovane martire Tarcisio, morto a Roma nei primi anni del cristianesimo per difendere l’Eucaristia che stava portando di nascosto a dei prigionieri? All’età di sette anni il piccolo Almiro fu protagonista di un episodio simile, che commosse i cattolici durante la Prima Guerra Mondiale. Era il 19 ottobre del 1915, infatti, quando nel piccolo paese di Torcegno, allora facente parte dell’impero austro-ungarico, giunse l’ordine improvviso e perentorio di evacuare le case in poche ore. Come scrive Antonio Zanetel nel suo volume “Dizionario biografico di uomini del Trentino Sud-Orientale” subito le famiglie pensarono al bene più prezioso posseduto, ossia il Santissimo Sacramento custodito nel tabernacolo. «D’altronde il curato, don Guido Franzelli, di sentimenti italiani, era già stato arrestato qualche ora prima, per essere internato in Boemia senza dargli neppure la possibilità di salutare i suoi fedeli». Le famiglie si riunirono in fretta per stabilire come miglior soluzione quella di consumare le Sante Specie nella Comunione. Ma come fare? Con l’allontanamento del curato, Torcegno era rimasto senza sacerdote. La maestra della scuola elementare allora si rivolse a un suo bravo e buono scolaro di sette anni, istruendolo così: «Domani andrai all’altare, aprirai il tabernacolo, distribuirai la Comunione a quelli che si riuniranno in chiesa prima di lasciare il paese. Le tue mani sono innocenti. Il Signore lo permetterà».
Quel bimbo era Almiro Faccenda che, all’alba del giorno seguente, era in chiesa per espletare l’augusto servizio, distribuendo le Sacre Specie a tutti i presenti. Da qui il nomignolo “Tarcisio delle Api”. Poche ore dopo, anche lui partiva per l’Italia insieme alla famiglia e alla popolazione tutta. Ma non sapeva dove tenere la mano che aveva toccato il Signore. «Che ne farò di questa mano?» domandò alla maestra. Ed ella rispose: «Che non faccia mai male a nessuno». Con la sua famiglia finì profugo a Trecate ma, consapevole di aver toccato il Signore, desiderò servirlo più da vicino avvicinandosi agli Oblati di San Giuseppe fondati dal Beato Giuseppe Marello. Accolto, fu ordinato sacerdote in Asti nell’ottobre del 1938. Notandone il non comune ingegno, i suoi superiori vollero che don Almiro proseguisse gli studi e si laureasse all’Angelicum di Roma in filosofia e teologia, dove discusse la tesi di laurea dal titolo: “Regalità di Cristo”, ritenuta splendida e data alle stampe. Dopo aver insegnato per un decennio, don Almiro ottenne un apostolato diretto con la nomina a parroco di Canosa in Puglia (dal 1942 al 1951), poi alla Madonna dei Poveri a Milano (dal 1951 al 1954) e ancora in Puglia parroco a Margherita di Savoia in provincia di Foggia.
«Dalla congregazione fu poi designato nel 1959 – scrive Antonio Zanetel – a coprire la cattedra di teologia dogmatica e pastorale nello studentato giuseppino di Roma e contestualmente nominato parroco della nuova parrocchia di San Giuseppe all’Aurelio (ancora da costruire)». Don Almiro Faccenda scomparve precocemente il 1° gennaio 1968, all’età di 60 anni, a Roma presso la casa madre della Congregazione dei Padri Giuseppini.