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1915. Natale di guerra sotto Valpiana. Un fazzoletto patriottico a Monte Setole



Il triste Natale di Guerra del 1915 in Valsugana emerge in maniera vivida dal diario del sodato piemontese Antonio Terazza. Alcune pagine, inedite, del suo scritto sono qui proposte al lettore per la prima volta...


di LUCA GIROTTO


Il Natale del 1915 coglieva una Valsugana annichilita dalle prime fasi del grande conflitto che per due anni e mezzo l’avrebbe devastata: le popolazioni italofone in parte esodate all’interno del territorio della Duplice Monarchia; villaggi ancora abitati da coloro, ed erano tanti, che confidavano in una guerra veloce e “stagionale”; militari italiani insediatisi in paesi redenti sì, ma sorprendentemente tranquilli ed in genere per nulla anelanti a diventare parte del Regno. La 15^ divisione di fanteria presidiava l’intero “settore Brenta-Cismon” con battaglioni alpini e reggimenti di fanteria, occupando i fondovalle con un imponente apparato logistico e gli accantonamenti invernali per buona parte della truppa. Ma molti tra i soldati italiani non avevano la fortuna di poter rimanere sul fondovalle. All’epoca il fronte, a meridione del solco del Brenta, saliva sul modesto crinale dell’Armentera e tagliava la Val di Sella presso la sua testata a quote modeste oscillanti tra i 1500 ed i 1000 metri prima di arrampicarsi sull’orlo dell’Altopiano dei Sette Comuni all’altezza di cima Manderiolo. A nord della Valsugana, invece, lo schieramento delle regie truppe si appoggiava ai caposaldi di monte Salubio e cima Ciste per poi tagliare la bassa Val Calamento e assediare le posizioni austriache di cima Valpiana dallo sfavorevole spalto di monte Setole (la Kleine Valpiana degli imperiali). Il presidio di monte Setole era fornito, a rotazione, da uno dei quattro battaglioni dell’84° reggimento fanteria della brigata Venezia. Nella stazione logistica di Pontarso, alla triforcazione delle valli di Fregio, Calamento e Campelle, un secondo battaglione accantonava, pronto ad intervenire in caso di bisogno, mentre gli altri due stazionavano tra Telve e Telve di sopra. E proprio al 2° battaglione dell’84° era stato assegnato il soldato piemontese Antonio Terazza, classe 1894, che rientrava al fronte, dopo la convalescenza per una ferita al braccio riportata in agosto sotto San Martino di Castrozza. Sin dalle prime pagine della sua “Memoria di gioventù e di guerra”, qui riportata con alcune correzioni sintattiche opportune a migliorarne la scorrevolezza, si intuisce chiaramente lo scarso entusiasmo suscitato in lui dall’aggregazione ad un reparto di quei “maledetti toscani” tanto cari ad Indro Montanelli.

«Il giorno 29 viene l’ordine di afardellare lo zaino per una diversa destinazione. È dunque arrivata l’ora della grande offensiva soffocata dalla neve in ottobre? Scesi dal treno a Grigno abbiamo proseguito per la conca Tesina e Strigno dove alloggiamo in una frazione Tommaselli. Al mattino dopo istruzione di lancio di bombe in un prato sotto il villaggio. Incontro il cugino Vittore che sta con gli alpini e alloggia a Borgo assieme ai suoi muli. Prima era anche lui con la mia cara vecchia brigata in Val Cismon ma i muli servono qui ora. Deve avere qualche camorra perché ha uno zaino pieno di pagnotte e scattolette e un fiasco intero di rosso. Beviamo e mi mette in guardia e mi racconta della tristezza di vivere con i toscani della brigata Venezia, l’84° è tutto gente di Pistoia e di Firenze pronta a fare camorra contro la gente del nord.Ma siamo dalla stessa parte a sparare agli austriaci – gli dico ma lui scuote la testa.. (…). Mi fermai a Strigno con gli altri complementi una decina di giorni, poi al 9 di dicembre viene di nuovo ordine di zaino afardellato. Partiamo di notte, colli ufficiali che ordinano di non tentare di accendere nemmeno uno solfanello, non parlare e accolonnarsi in ordine di marcia. Si attraversano vigneti e Samone un villaggio con alcune luci nelle case dei civili e due donne che ci riempiono due gamelle di latte ancora caldo. Dove siamo spediti dunque? Al mattino ancora con il buio imbocchiamo una strada stretta tra due muri di sasso che entra in una valle nera e dopo cinque ore, con il sole già alto, scendiamo al torrente al nuovo accampamento. Pontarso alle falde di monte Setole dove sta la mia compagnia di destinazione. Lì dobbiamo avere il rancio ma i cucinieri dicono che non hanno ordini e non possono preparare. Sono cinque toscani di Pistoia che odiano gli alpini perché il mese prima gli anno sacchegiato il magazzino delle razioni di riserva e tutto il cognac per portare tutto in cima al Setole. Quando sanno che non siamo alpini ladri e siamo fanteria dell’84° brigata Venezia però ci danno pagnotte fresche e una gamella di salsa di pomodoro calda a ciascheduno. (…) Stiamo fermi a Pontarso la mattina del 10 dicembre. Lì arriva il sergente maggiore Scheggi, di Arezzo, che alla sera ci mette tutti in marcia per salire al Setole. (…) Si sale nel bosco, su un sentiero che passa vicino a tre o quattro croci di caduti di ottobre e si arriva ad una baracca in una radura dove ci aspetta l’aspirante Cantoni. Il fiume rumoreggiava in basso nel buio e in alto un riflettore dei tedeschi spiava nell’ombra dei boschi. C’era calma e silenzio, solo qualche fucilata delle vedette ogni poco ci diceva che la guerra era ancora viva lassù. (…). Arriva da prima l’ordine di accampare al limite del bosco, poi alle 9.00 del mattino ordine di arrivare in trincea perché pattuglie nemiche si muovono sulla destra. Tutti in colonna per uno ci avviamo sulla neve sporca e saliamo ma dopo neanche mezz’ora iniziamo a vedere buchi per terra e piante schiantate e quando siamo fuori sui prati inizia il fischio degli sdrappel che straccia l’aria e è seguito subito da un altro e un altro. Tutti i proiettili scoppiavano alti e più avanti di noi senza farci danno e il Cantoni ci incoraggiava – Avanti ! Avanti! Che non sanno che siamo qui e tirano alla buona! – Poi dall’altra parte della valle è iniziato un altro rombo. I nostri cannoni di Cima d’Asta avevano aperto il fuoco e rispondevano. Ma certi colpi fischiavano anche troppo vicino a noi. (…) Alle due del pomeriggio si giunse in trincea sotto la cima, davanti alla galleria della mensa degli artiglieri della batteria da montagna. Proprio davanti alla bocca della caverna uno sdrappel scoppiò allora uccidendo il caporalmaggiore Marchi che ci aveva accompagnato dal treno. Non pareva neanche cadavere, ma quando il dottore lo ha girato di pancia per terra mostrava un buco dietro la testa che ci entrava una mano. (…)».

Le trincee dei fanti sul Setole, alla fine del 1915, non erano un luogo piacevole in cui trascorrere le giornate serene...


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