Le maglie del rugby Trento arrivano fino in Kenya. Le indossano i rugbisti della Sawa Sawa Academy di Timboni, villaggio affacciato sull’oceano Indiano nel sud est dello stato, a un centinaio di chilometri da Mombasa.
Là da qualche mese opera Marco Canova, ex giocatore, allenatore, volontario in occasione dei test match e delle gare del Sei Nazioni e padre di Tommaso che da qualche stagione milita nelle fila dei gialloblù.
Dopo un periodo di vacanza trascorso nella zona, la decisione di passare sempre più tempo nelle scuole del Keny per insegnare lo sport e i valori della palla ovale. L’idea nasce molto tempo fa: «Dieci anni fa – spiega Marco al telefono – sono giunto in questa zona del Kenya per una vacanza e sono stato “fulminato” dall’amore dei bambini. Da ex giocatore, anche se mai ad alti livelli, ho portato con me la palla ovale. In due settimane ho fatto giocare almeno 50 ragazzini e mi sono ripromesso di tornare».
Detto (quasi) fatto. Lo scorso ottobre Marco torna in Kenya, ma con un obiettivo completamente diverso: «Di professione gestisco alcuni impianti sportivi nel padovano – prosegue – e sono insegnante di educazione fisica. Avevo bisogno di liberarmi la testa e trasmettere quello che so fare io, per cui ho deciso di impiegare 23 giorni della mia vita per andare in una scuola e insegnare il rugby ai giovani locali. Ho chiamato alcuni amici che avevo conosciuto qua per trovarmi una casa e una scuola dove insegnare educazione fisica. Ho iniziato il mio percorso nella Sawa Sawa Academy, dove ho insegnato la pallamano e la pallavolo (non c’è bisogno di insegnare l’educazione motoria perché tutti i ragazzini si muovono e corrono sin da piccoli). Negli ultimi giorni di permanenza ho provato a inserire il rugby e l’idea è piaciuta molto a studenti e insegnanti».
La voce si spande in poco tempo e Marco conosce un’altra realtà, più povera e meno strutturata di quella precedente: «Grazie a una delle tante volontarie che operano in Kenia dell’associazione Jua Yetu, sono entrato in contatto con una scuola periferica, la Mama Rossana Academy - in mezzo al nulla, costruita col fango e composta da quattro aule dove i bambini dai 5 anni in su sono stipati in pochissimo spazio. Tornato a casa in Italia ho iniziato a pensare e cosa ci fosse stato di meglio se non tornare lì e portare la palla ovale?»
Ed ecco che entra in gioco il rugby Trento. Pur avendo una buona tradizione rugbistica derivante dal periodo di occupazione britannica, nelle zone periferiche il materiale per la pratica dello sport scarseggia: «Ho chiesto una mano alla società di cui sono sponsor e dove gioca mio figlio Tommaso e ho trovato un’incredibile disponibilità. Sono così ripartito alla volta di Timboni con 5 borse piene di maglie, palloni, pettorine, conetti e materiale in buono stato che non veniva più utilizzato. Adesso tutte le mattine torno nella scuola e insegno un’ora di rugby con tanto di partitella finale. Dopo due sole lezioni i ragazzi iniziavano già a giocare tra loro, tanto che mi hanno chiesto di tornare da loro anche il pomeriggio, insegnando rugby ma anche le altre discipline tra cui il nuoto, novità assoluta. Lì utilizzo il materiale, mentre le divise destinate a ragazzi cresciuti le usano i ragazzi della Sawa Sawa Academy. La mia giornata ora conta di lezioni di 40 minuti la mattina e 2 pomeriggi si gioca. Fino a poco tempo fa c’erano calcio, pallamano e pallavolo, ora tutti i mercoledì ci sono 4 squadre che giocano a rugby e fanno i tornei tra di loro».
Il lavoro di Marco non si esaurisce solo all’insegnamento della pratica sportiva: «Il mio obiettivo è duplice. Innanzitutto voglio infondere nei giovani le regole non scritte del rugby come il sostegno, l’amicizia e il rispetto. I giovani hanno già imparato a fare il saluto e il corridoio finale per applaudire l’avversario. E ancora il rispetto delle autorità, il silenzio quando qualcuno parla, se la palla cade non si ride ma si gioca, ci si aiuta e non si insulta e così via. Questo ha creato un clima in cui i ragazzi giocano felici con 35 gradi all’ombra in campi senza erba, musulmani e cristiani assieme in un momento di aggregazione unica. A fine marzo tornerò in Kenya con mio figlio Tommaso e avvieremo un percorso in modo da coinvolgere altre scuole e creare un campionato studentesco. Infine mi piacerebbe poter creare un canale per cui chi vuole venire in Kenya ha la possibilità, contattandomi, di entrare in queste scuole, portare i palloni e passare un’ora a insegnare rugby. Lo consiglio vivamente perché apporta un arricchimento personale incredibile».