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Pino de Vita. «Io, Bieno, Gaber e la strage di Piazza Fontana il 12 dicembre di 52 anni fa»


Il maestro Pino De Vita nella sua casa di Bieno


di JOHNNY GADLER

BIENO – Si trova su Spotify il nuovo CD del maestro milanese Pino De Vita che trascorre molto tempo a Bieno e che ci racconta un episodio accaduto come oggi, 12 dicembre, nel lontano 1969: la Strage di Piazza Fontana...


Il 12 dicembre 1969, nell'arco di 53 minuti, 5 attentati terroristici colpirono Milano e Roma. Il più grave fu quello alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano, dove una bomba causò 17 morti e 88 feriti. L'episodio è considerato l'inizio della strategia della tensione che per anni insanguinò l'Italia. Le indagini si sono susseguite nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e neofascisti; tuttavia alla fine tutti gli accusati sono stati sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni sono stati condannati per altre stragi e altri hanno usufruito della prescrizione, evitando la pena).

Maestro De Vita, il 12 dicembre ricorre un triste anniversario: la strage di Piazza Fontana. Un attentato che segnò un’epoca, ma anche Lei e la Sua musica…

«Vero, ricordo quel tragico 12 dicembre 1969 come fosse oggi. Vivevo a casa di Gaber e...»


Come mai viveva da Gaber?

«All’epoca suonavo con sua moglie, Ombretta Colli, e pertanto già ero di casa. Nell’autunno del 1969 mia mamma purtroppo venne a mancare e allora Giorgio e Ombretta mi proposero di trasferirmi da loro per un po’ di tempo. Nel tardo pomeriggio di quel 12 dicembre sia io che Giorgio rientrammo a casa sconvolti per quanto era successo poche ore prima alla Banca dell'Agricoltura. Le prime informazioni parlavano di una fuga di gas, quindi di un tragico incidente. Poi, mentre stavamo cenando, il TG1 cominciò a riferire di una bomba e di una presunta matrice anarchica dell’attentato. Io e Giorgio, assieme a Sandro Luporini, pittore, scrittore nonché coautore di Gaber, ne discutemmo fino alle tre di notte. La pista anarchica non ci convinceva per nulla, ma tant’è.»


Alla strage dedicò un brano...

«Sì, combinazione volle che nella primavera del 1969 avessi iniziato a comporre una sonata per pianoforte totale, utilizzando tasti, cassa armonica e strumentini, da usare sulle corde, che mi ero fatto costruire. Poi con il fatto di Piazza Fontana, il primo movimento lo dedicai alla strage. Nella primavera scorsa il lavoro è stato remixato grazie all’editore toscano Radici Music e distribuito su Spotify con il titolo “73 TAPEPIANO”».


Perché riproporlo ora?

«L’idea era di farlo uscire per il 50esimo anniversario dell'attentato, ma la pandemia ha rallentato tutto. Per commemorare la strage di Piazza Fontana ho realizzato anche un video con Mario Costa. Lì, in un minuto e mezzo, è racchiusa questa grande ferita nella nostra storia. Il presidente della fondazione delle vittime della strage ha già voluto il video: lo porteranno nelle scuole, perché è importante preservare la memoria.»

Come nacque il Suo amore per la musica?

«Si può dire che sia innato. Mia madre suonava il pianoforte, così mi sono nutrito di musica fin da neonato. Poi a 3-4 anni ascoltare non mi bastava più e così iniziai a toccare quei tasti con le mani, ricavandone suoni disordinati, ma per me inebrianti. Chi ha avuto la fortuna di crescere in una casa dove c’era uno strumento musicale sa bene cosa intendo dire…»


Dal salotto di casa a “I Giganti”, uno dei più grandi gruppi degli anni ‘60. Come arrivò al successo?

«Come sempre capita per puro caso, o forse per un segno del destino. Tutto ebbe inizio molti anni prima, sui banchi di scuola in viale Mugello, nella prima periferia milanese. Fu lì che frequentai le elementari, ritrovandomi in classe i fratelli Mino e Sergio di Martino che sarebbero poi stati l’anima dei Giganti, componendo i testi e suonando rispettivamente la chitarra e il basso. Poi seppi che anche un arrangiatore dei Giganti frequentò quella scuola dove, forse, c’era un’alchimia speciale.»

Lei dopo il successo di “Tema” uscì dal gruppo. Perché?

«Dovevo completare gli studi. Qualche tempo dopo entrai nel giro della Colli e di Gaber. Fra il 1972 e il 1975 composi musiche per il teatro sperimentale, musiche per film underground presentati in alcuni festival internazionali in Italia, negli USA e Australia, mi cimentai pure negli audiovisivi programmati-multivisioni. Quindi feci dei concerti per solo pianoforte, incisi anche su musicassetta con la produzione di Shel Shapiro


Dal 1977 l’avventura con i MAAD, uno dei più interessanti gruppi di rock-jazz italiani...

«Ho sempre lavorato con musicisti eccezionali, una fortuna!»

All’inizio degli anni ‘80 lasciò anche i MAAD, perché?

«Per insegnare musica alla scuola media di Locate Triulzi. Ma proseguii le mie sperimentazioni con spettacoli teatrali, industrial piano, new age più mait music, free jazz e tante altre esperienze. Perché secondo me – e questo accade non solo nell'arte, ma nella vita in genere – se non si continua a sperimentare si finisce per arenarsi. Il mio percorso artistico si può racchiudere nel motto “Sperimentare o morire”.»


Lei è molto legato alla Valsugana. Come mai?

«Negli anni ‘20 del secolo scorso mio nonno, Giuseppe Campolongo, comprò la prima casa a Bieno e non ne abbiamo mai compreso bene il motivo. Fatto sta che è diventato il luogo di villeggiatura, sia invernale che estiva, per cinque generazioni della mia famiglia. Oggi abito nel centro storico di Bieno e ho riunito nella tomba di famiglia i miei nonni e i miei genitori».


Cosa Le piace di questi luoghi?

«Vivendo in centro a Milano, la cosa che apprezzo di più quando vengo qui è uscire di casa e trovarmi subito nel bosco. Per me è un privilegio impagabile e sono contento che questa zona sia rimasta piuttosto incontaminata, senza soffrire quell’imbarbarimento urbanistico-turistico che fra gli anni ‘60 e ‘70 devastò altre zone del Trentino».


Ha concerti in vista qui da noi?

«Nei giorni scorsi sono stato a Riva per registrare con un pianoforte raro ma per i concerti occorre attendere. L’estate scorsa ho suonato in piazza a Borgo Valsugana, ma d'inverno è impossibile suonare al chiuso per via del Covid. Confido nella bella stagione, intesa non solo come calendario, ma ormai anche come conclusione di questa terribile pandemia».


Un musicista eclettico, quanto tecnicamente eccellente, a suo agio in tutti i generi in cui nel corso degli anni si è cimentato. Da ascoltare, soprattutto perché fuori da ogni catalogazione». Bastano queste poche righe, scritte da Mario De Luigi sulla rivista "Musica e Dischi” per inquadrare l’opera e la carriera del maestro Pino de Vita. Compositore, pianista, tastierista e insegnante di musica, è noto soprattutto come autore del celeberrimo brano "Tema", portato al successo nel 1966 a “Un disco per l’estate” da quella che era considerata una delle migliori e più originali band jazz-rock dell’epoca: “I Giganti”. Paradossalmente, però, “Tema” non porta la firma di Pino De Vita, né quella degli altri quattro componenti originari del gruppo. All’epoca, infatti, nessuno di loro era iscritto alla Siae; pertanto il pezzo fu depositato da due prestanome. De Vita è molto noto anche in Valsugana, poiché dall’età di tre mesi trascorre le sue estati a Bieno, paese dove suo nonno comprò casa cent’anni fa.


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