di JOHNNY GADLER
Rientrato dalla Cambogia, il perginese Guido Prati si fa promotore di una nuova raccolta fondi per esaudire il sogno dei bambini che vivono nella foresta la cui scuola è priva di fondi ma, soprattutto, mancante del bene più prezioso: i libri
L'anno scorso, proprio di questi tempi, vi avevamo raccontato la bella storia di Alessandro Prati e Ketty Sandri, protagonisti di un’incredibile avventura imprenditoriale ma anche di vita.
Infatti i due giovani trentini, residenti a Valcanover di Pergine, cinque anni fa erano partiti all’improvviso per la Cambogia dove, nella città di Battambang, avevano aperto un ristorante italiano in cui propongono anche piatti tipici trentini come il tortel di patate, polenta e spezzatino, nonché vin brulè (servito freddo per via delle temperature).
Una scelta di vita che Guido Prati, padre di Alessandro, in un primo momento aveva giudicato come un’autentica follia, non solo perché la zona non rientra fra le principali mete turistiche del Paese, ma anche perché la Cambogia presenta una cultura e stili di vita assai diversi rispetto ai canoni occidentali.
I fatti, però, quasi da subito hanno dato ragione alla coppia trentina, la quale non solo è riuscita a trasformare il proprio ristorante italiano in un locale molto frequentato, ma ha pure saputo calarsi totalmente nella realtà cambogiana, intessendo una fitta rete di relazioni a tutto campo. Tanto che lo stesso Guido Prati, ospite per la prima volta in Cambogia del figlio e della compagna, si era dovuto ricredere. Anzi, a sua volta era rimasto “stregato” da quei luoghi e dall’affabilità delle persone, al punto che, già nel dicembre scorso, si era attivato per alcuni progetti di solidarietà a favore dei giovani e delle scuole di Battambang.
Ora Guido Prati è rientrato da poche settimane da un altro lungo viaggio in Cambogia, di cui ci racconta gli sviluppi, lanciando al tempo stesso un nuovo progetto di solidarietà, finalizzato a rendere felice un’intera comunità e soprattutto i bambini: la realizzazione di una biblioteca nel cuore della foresta cambogiana.
Prof. Prati, com’è stato questo nuovo viaggio in Cambogia?
«La prima volta l’avevo affrontato un po’ da turista; questa volta, invece, mi sono completamente immerso nella vita locale e ho conosciuto tante persone nuove. Alessandro mi presentava come “my father Guido”, ma loro non riuscivano a pronunciare il mio nome, così per tutti ero semplicemente “papà”».
Come stanno i suoi ragazzi?
«Molto bene. Sono al loro quinto anno a Battambang e stanno attraversando un momento davvero radioso. Come vi avevo già raccontato l’anno scorso, il ristorante è diventato il punto di ritrovo di tanti cambogiani: letterati, professori universitari, maestri di scuola ma anche contadini e commercianti, nonché esponenti del governo locale. Vanno matti per la cucina italiana e adesso mio figlio ha insegnato a una cambogiana a fare pure la pizza. Un successo incredibile, la ordinano pure d’asporto, proprio come si fa qui da noi. L’unico neo, se vogliamo, è il fatto che, con i suoi 24 coperti, il ristorante fosse diventato piccolo. Così hanno deciso di cambiare struttura e ora sono riusciti a prendere in affitto, per sette anni, una grande casa contadina situata lungo il fiume. In questo momento la stanno ristrutturando e sperano di inaugurarla entro Natale. Il locale dispone di circa 40 posti interni e di altri 20-30 all’esterno in un giardino meraviglioso, con tanti alberi da frutto, banane e manghi soprattutto. E pensare che i proprietari non ne volevano sapere di concedere questa vecchia casa in affitto, ma la loro figlia, Charya Nettra, ha tradotto il mio libro “Welcome to Cambodia” in cambogiano ed è molto amica di Ketty, così grazie alla sua intercessione l’affare è andato in porto».
Con i proventi del libro “Welcome to Cambodia” la primavera scorsa avevate distribuito materiale didattico alle scuole, nonché pagato la retta universitaria a una studentessa la cui famiglia versava in difficoltà economiche. È ritornato ancora nelle scuole?
«Sì, mi hanno accompagnato nella scuola di Nothkamsin appena fuori città, frequentata da una settantina di bambini poveri. Tutti scalzi, come si usa nella loro cultura, ma estremamente puliti e curati. Peccato che la struttura scolastica fosse mancante di tutto: in aula non avevano nemmeno una matita. L’insegnante, un volontario come l'intero corpo docente visto che la scuola non usufruisce di finanziamenti pubblici, utilizzava soltanto un tabellone che serviva per scrivere e ripetere. Il direttore mi ha ringraziato per il materiale donato in primavera. A quel punto i bambini hanno applaudito e hanno cantato l’inno della loro scuola con un grande grido finale che diceva, nella loro lingua, “Viva l’Italia”. Poi sono andato a comperare del materiale didattico e alcune risme di carta che il direttore mi aveva chiesto. Ma il suo vero timore era un altro: che gli staccassero la corrente elettrica, perché anche lì le bollette sono arrivate alle stelle. Così gli ho dato 100 dollari, perché nel portafoglio non avevo altro, e lui mi ha preso le mani per ringraziarmi e non mi lasciava più».
Senz’altro un momento umanamente molto toccante e coinvolgente…
«Vero, ma sa qual è la cosa che mi ha fatto più piacere? Vedere la costanza con cui questi bambini frequentano le lezioni. In un altro contesto probabilmente sarebbero votati all’analfabetismo come i loro genitori. Però qui le famiglie hanno compreso che la scuola è importante, perché rappresenta la leva per migliorare la propria vita e così ci sono bambini che attraversano anche la giungla da soli pur di essere in aula. E a proposito di giungla, vorrei raccontarvi un’altra esperienza…»
Ci dica…
«Io della giungla avevo una convinzione molto letteraria e cinematografica, ma non è affatto così. La vera giungla l’ho scoperta grazie a Visal Sorn, una cliente del ristorante che lavora per l’amministrazione cambogiana, la quale ci ha accompagnato a visitare una scuola in mezzo alla foresta, con alberi alti più di 30 metri e un sottobosco molto stretto, difficile e pericoloso da penetrare. Per arrivare a questa scuola, punto di riferimento di tutti i ragazzi che vivono in piccole comunità disperse in mezzo alla giungla, abbiamo dovuto viaggiare per oltre un’ora e mezza a bordo di un tuc tuc, percorrendo una strada sterrata che conduce al Tempio delle donne, anch’esso nascosto in mezzo alla foresta. La scuola si trova in un’isola bellissima, molto curata, con un grande giardino e con una costruzione che a prima vista pare in buone condizioni. Anche qui, però, la struttura non è statale e non è finanziata. Il bello è che questi ragazzi si alzano alle 5 di mattina per essere in classe alle 6, dove rimangono fino alle 11. Poi tornano a casa da soli e vanno a lavorare. Alle 15 arriva l’altro turno fino alle 18, quando ormai è quasi notte. Prima di recarci in questo luogo eravamo andati a fare degli acquisti di cancelleria in un grande magazzino (non cinese, perché là non sono molto amati!), riempiendo un grande scatolone sul quale avevano poi scritto, in cambogiano, “dono di Guido”, con tanto di bandiera italiana. Al nostro arrivo c’erano i bambini già raggruppati per classe. Tutti belli ordinati e disciplinati, tanto che mi è venuto naturale fare un raffronto con i bambini italiani... ma della mia epoca, classe 1943, non certo con quelli di oggi. Dopo un breve discorso introduttivo, è incominciata la distribuzione del materiale».
Che cosa ha donato?
«Per i bambini della prima e seconda elementare mi era stata chiesta una lavagnetta ciascuno, spiegandomi che non avendo libri da portare a casa, la lavagnetta su cui scrivere e poi cancellare è un libro che continua. Ai più grandi ho portato un kit di materiale scolastico (comprendente libri, quaderni, matite, ecc.) che là non costa nemmeno poi tanto. Con 370 dollari siamo riusciti a dare a tutti i bambini ciò di cui necessitavano. Terminata la distribuzione del materiale, tra sorrisi innocenti e occhi stupiti dalla sorpresa, la direttrice ha spiegato il motivo della mia presenza e dov’è l’Italia. Alla fine della cerimonia le docenti mi hanno invitato a seguirle in una sala che alle pareti presentava grandi scaffali vuoti. Pensavo si trattasse della loro sala riunioni e invece mi hanno spiegato che lì vorrebbero realizzare la biblioteca dei bambini con libri non solo di favole, ma anche con volumi didattici da consultare sul posto. Purtroppo, però, per mancanza di risorse gli scaffali sono ancora vuoti. Così seduta stante ho donato 200 euro, ripromettendomi di trovare un modo per aiutarle. Lungo il viaggio di rientro con il tuc tuc mi è venuta l’idea di invitare tutto il corpo docente di quella scuola a cena nel ristorante di Alessandro e Ketty. Così alle 5 del pomeriggio – visto che a Battambang si va a dormire verso le 7.30 di sera sia perché è già notte, sia perché al mattino ci si alza molto presto – ci siamo ritrovati tutti al ristorante italiano. Le signore, giunte a bordo delle loro tradizionali motorette, si erano vestite di tutto punto, indossando degli abiti bellissimi. Davanti a dei grandi vassoi di pizza, spaghetti alla carbonara e brasato, ho rotto io il ghiaccio mostrando loro come si mangiano gli spaghetti con la forchetta.
Non tutti ci sono riusciti, ma il risultato finale è stato comunque raggiunto: hanno spazzolato tutto! Nei giorni seguenti mi hanno invitato a vedere le ombre cinesi, una performance artistica davvero incredibile, tanto che ho compreso tutta la storia pur non capendo una sola parola della colonna sonora. Poi mi hanno fatto visitare la famosa scuola circense, sostenuta anche dal ministero della cultura francese, dove si formano i professionisti di quest’arte. L’ultima sera mi hanno invitato a cena, portandomi in un ristorante cambogiano dove sono stato benissimo. Infine mi hanno dato dei regali e ci siamo salutati ripromettendoci di rivederci molto presto».
Quando?
«Ancora non lo so. Ma intanto mi sto dando da fare per raccogliere i fondi necessari a realizzare la biblioteca per la scuola nella giungla. A tale proposito interpello, ancora una volta, il gran buon cuore dei valsuganotti affinché in occasione delle prossime festività natalizie possano donare anche solo una cifra simbolica al fine di rendere felici dei ragazzi che non hanno nulla, ma che si accontentano davvero di poco: una matita, una penna, un quaderno e, soprattutto, dei libri da leggere, attraverso i quali migliorare le proprie condizioni di vita che un destino per nulla benevolo ha reso molto difficoltose e apparentemente senza speranza di riscatto. Ma quei grandi occhi e quei sorrisi ingenui mi hanno insegnato che nulla è impossibile e che con poco si possono realizzare progetti inimmaginabili. Chiunque voglia aiutarmi in questa impresa può contattarmi telefonicamente al numero 347 141 5981. Farà felice me, ma soprattutto loro. Poi, come sempre, rendiconterò pubblicamente circa il denaro raccolto e sui progetti realizzati in Cambogia. Grazie di cuore e Buon Natale a tutti».
Comments