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Il "Piccolo Alpino" del Lagorai tra storia e romanzo


Forcella Magna, 26/06/1916 Lettura d’un comunicato del gen. Cadorna a degli ufficiali del Valbrenta (Arch. L. Girotto)

Il 26 giugno 1916, il sergente novarese Carlo Balelli, fotografo nella vita civile ed all’epoca aggregato alla “squadra telefotografica da montagna” della 4ª Armata, si trovava a Forcella Magna (2117 m s.l.m.) nel massiccio di Cima d’Asta, reduce dalla faticosa ascensione che il giorno precedente lo aveva condotto alla vetta omonima (2847 m s.l.m.)...

di LUCA GIROTTO

Presso il villaggio di baracche che sotto la forcella ospitava il presidio composto da alpini, fanti ed artiglieri, il graduato Carlo Balelli ebbe modo di immortalare un gruppo d’ufficiali alpini, probabilmente del battaglione Valbrenta (6° reggimento) intento ad ascoltare la lettura pubblica d’un comunicato del generale Cadorna.

La fotografia, giunta in ottime condizioni fino ai giorni nostri, appare di per sé abbastanza generica e nulla di speciale rivela ad un esame superficiale; vent’anni orsono, ciò aveva indotto chi scrive a depositarla assieme a tante altre nell’archivio personale, senza alcuna annotazione particolare. Il recente colloquio con un amico che aveva avuto modo di osservarne una riproduzione di buona qualità divenne movente sufficiente ad un riesame dell’immagine, incentrato sul soggetto in uniforme che appariva in primo piano in basso a sinistra.

Ed ecco la sorpresa: un “alpino tascabile”! Il “militare” in questione era indubbiamente un bambino, ma indossava una divisa da alpino, comprensiva di fasce mollettiere, cappello e stellette da bavero …

Lunghe, anche se intermittenti, ricerche sulle fonti storiche ufficiali e sulla memorialistica non avevano condotto ad alcun risultato significativo, fino a quando il fortuito contatto con la famiglia d’un vecchio alpino reduce dalle battaglie di Monte Setole, di Col San Giovanni e del Cauriòl fece scoprire l’esistenza, incidentalmente accennata ma mai in alcun modo documentata, d’una sorta di “mascotte” che il battaglione Valcismon recava con sé sin dai tempi dell’occupazione di Monte Setole: secondo le memorie di famiglia, il ragazzino sarebbe stato il figlio d’un alpino di Lamon (BL) incorporato nella 264ª compagnia, il quale nell’immediato anteguerra, per sfamare la famiglia, era solito lavorare stagionalmente in territorio trentino assieme all’erede, nelle malghe sui monti a nord della Valsugana.


Dettaglio della foto sopra: a sinistra il ragazzino in divisa

Dopo svariati mesi trascorsi al fronte senza licenze, l’alpino in questione si era ridotto ad indossare l’uniforme senza alcuna biancheria intima, in quanto ormai consunta ed inutilizzabile, e tramite un compaesano delle salmerie aveva fatto giungere a casa una lettera richiedendo l’urgente invio di indumenti di ricambio.

La consorte, senza battere ciglio, aveva preparato il pacco e, da moglie e madre premurosa, lo aveva affidato per la consegna ( «pòrtelo a tò pare!» – aveva semplicemente esortato… ) al figlio neppure dodicenne! Costui, altrettanto impassibile ed autonomo, aveva quindi affrontato le decine di chilometri di strade e mulattiere dalla Val Cismon alla Val Calamento, sfidando il maltempo, la fame, il traffico militare ed i posti di controllo dei carabinieri, per consegnare al papà l’agognato pacco di biancheria. Grazie al compaesano salmerista incontrato a Pontarso, a fine aprile, il ragazzino aveva potuto fare la sua comparsa a sorpresa, proprio in vetta a monte Setole, dinnanzi all’esterrefatto comandante di compagnia e ad un compiaciuto genitore. Ma, una volta adempiuto al suo compito, il “bocia” era divenuto un pericoloso impiccio, una grana vera e propria per l’ufficialità di quel battaglione di vecchi territoriali: lasciarlo tornare a casa per le stesse strade, a rischio di farlo “catturare” dagli aeroplani? Notificarne la presenza al comando della 15ª divisione, esponendo così ad una pessima figura il sistema di sorveglianza di retrovia ed a sicure punizioni i soggetti più o meno volontariamente coinvolti? Le testimonianze, comunque scarse ed imprecise, attestano una scelta, per così dire, “all’italiana”: un atteggiamento interlocutorio, consistente nel trattenere il ragazzino presso la 264ª compagnia all’insaputa, almeno in linea di principio, degli ufficiali e con la collaborazione/complicità dei militari di truppa. Il calzolaio di battaglione, ricorrendo a materiale di recupero per realizzare una sorta di imbottitura, riusciva ad adattare un paio di robusti scarponi chiodati alle esigenze dell’imberbe nuova recluta; il sarto del reparto rivestiva invece il bambino con una versione ridotta, ma assolutamente regolamentare, della divisa grigioverde dell’artiglieria da campagna (non si era trovata una giacca per truppe a piedi riutilizzabile alla bisogna) che, con i suoi quattro pezzi da 75 mm, combatteva sul Setole fianco a fianco con gli alpini.



Il ten. Campari del Valcismon, Caoria (Arch. M. Manaresi)

Poi fu la Strafexpedition, gli alpini del Val Cismon dovettero abbandonare il Setole per ripiegare sul massiccio di Cima d’Asta; e vennero i giorni della battaglia dei Laghi Lasteatiun combattimento triste e finito male, con i veci del Valbrenta su questi cocuzzoli di fronte, tanto per aumentare il bottino di morti al cimitero di malga Sorgazza.» – secondo il tenente Paolo Monelli), dei pattugliamenti verso il perduto Col San Giovanni, del presidio delle linee di Forcella Magna. E qui i ricordi della famiglia del vecchio reduce sfumano e si sfuocano nelle mille “storie di guerra” nelle quali il trascorrere di quasi un secolo ha ormai indissolubilmente intrecciato fatti ed interpretazioni soggettive, rendendo quasi impossibile separare la realtà dalle distorsioni successivamente intervenute. Unico punto fermo, almeno in apparenza, rimaneva la presenza di questo “alpino mignon” a Forcella Magna almeno fino alla fine del giugno 1916, attestata del resto anche dalla fotografia già esaminata.

Ma un ulteriore colpo di scena, cinque anni orsono, riportava la luce dei riflettori sulla vicenda del nostro alpino in erba: una immagine fotografica, realizzata all’inizio del 1917 alle pendici del Monte Cauriol dal tenente Campari (anch’egli ufficiale del Valcismon) e donata all’allora aiutante di battaglione capitano Angelo Manaresi, raffigura il nostro ragazzino presso i baraccamenti dei rincalzi al di sopra del “Campigol del Fèro”, al limitare della vegetazione d’alto fusto e quindi in prossimità della prima linea. La didascalia originale recita “Il bocia volontario del Valcismon a monte Cauriòl”. (foto sotto)


(Foto: archivio M. Manaresi)


Nella fotografia, il personaggio indossa stavolta una inappuntabile versione ridotta della giacca da alpino (integrata da tasche anteriori, secondo un’usanza abbastanza comune ai graduati ed ai sottufficiali), con stellette e fiamme verdi al bavero. Attorno al ragazzo, che ha sostituito il cappello alpino con un più pratico e confortevole passamontagna, posano il tenente medico dott. Meldolesi (secondo da sinistra), ufficiali alpini e semplici soldati, in un’atmosfera di allegra e scherzosa complicità che molto ci fa intuire sulla effettiva posizione del giovinetto presso la 264ª e sulla relativa serenità di quel periodo di guerra in montagna.

Dettaglio: il piccolo Alpino (Foto: archivio M. Manaresi)

E qui potrebbe concludersi la misteriosa vicenda del “piccolo alpino” informalmente incorporato nel battaglione Valcismon, dato che fino ad oggi non sono emersi, per lo meno a conoscenza di chi scrive, ulteriori elementi utili a dettagliarne la presenza e la sorte nel periodo di guerra successivo. Ma l’appellativo appena utilizzato per definire il Nostro non può non riportare alla mente dei lettori non più giovani un altro “piccolo alpino”, cui spetta un posto di rilievo nella narrativa italiana del novecento: ci si riferisce al personaggio dell’omonimo romanzo per ragazzi scritto da Salvator Gotta nel primo dopoguerra e pubblicato nel 1926. Il libro, che nel 1961 aveva raggiunto l’astronomica cifra di 240 mila copie vendute ed era giunto alla 38ª edizione (altre ne seguiranno fino all’ultima del 1966), narra la vicenda di un ragazzino, l’aostano Giacomino Rasi, che di sua iniziativa raggiunge nel 1916 le prime linee italiane, dapprima sul Carso e poi al fronte dolomitico, alla ricerca del padre; nel suo peregrinare tra trincee e retrovie, egli viene in successione “adottato” dapprima dai fanti della brigata Aosta e poi da un battaglione di alpini con il quale, rivestito da capo a piedi con l’uniforme delle truppe da montagna grazie all’intervento del sarto e del calzolaio del reparto, combatte fino alla ritirata di Caporetto. Le “inspiegabili” analogie tra la vicenda romanzesca messa su carta da Salvator Gotta e quella del “bocia” del Valcismon divengono meno sorprendenti esaminando il curriculum bellico dello scrittore piemontese: arruolatosi dapprima come volontario nella Croce Rossa e divenuto poi sottotenente di artiglieria, egli nella primavera del ‘17 militava come ufficiale del 3° reggimento artiglieria da fortezza (in una sezione di cannoni da 149G) in Val Cia (la parte iniziale della valle del torrente Vanoi), tra Forcella Magna, la “regione dei colli”(il tratto di prima linea italiana imperniato su Col di Socede, Col San Giovanni, Col degli Uccelli, Col del Latte e Costone Copolà), Caoria e le creste del settore Cauriòl-Cardinal-Busa Alta.

Una guerra, la sua di quel periodo, condotta a stretto contatto con i reparti alpini ed in particolare con il Valcismon, al quale venne a lungo affidato il presidio delle posizioni del Cauriòl e della “regione dei colli”.

Cop. 38ª Ed. (1961) “Piccolo alpino” di S. Gotta

Nulla di specifico, allo stato attuale delle conoscenze di chi scrive, può essere dimostrato in merito alle fonti d’ispirazione cui Gotta attinse per l’elaborazione della trama del suo “Piccolo alpino” aostano. Tuttavia, alla luce delle troppe concomitanze geografiche, temporali e storiche, riesce difficile negare un qualche contatto (forse diretto e personale, o magari anche solo indiretto tramite “radio scarpa”), tra lo scrittore e la vicenda reale del “piccolo alpino” di Lamon.

Dalle brume della storia, e da un oblìo secolare, il “bocia” del Valcismon riemerge dunque oggidì nella realtà di un conflitto che in montagna non assunse quasi mai i caratteri dell’anonimo ed alienante massacro trascinatosi per oltre due anni sul fronte isontino; la guerra sulle Fassaner Alpen (denominazione austriaca della catena montuosa del Lagorai) non era certo quella “guerra da signori” che i poveri fanti del Carso invidiavano agli alpini, bensì un conflitto scandito anche da occasionali sprazzi d’umanità, nel quale la ricerca del padre da parte di un figlio era in grado di gonfiare d’amore e d’orgoglio il cuore collettivo d’un intero battaglione. Quel cuore alpino che per qualche mese ha voluto dare al piccolo alpino di Lamon una famiglia in grigioverde.


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