Ricomincerà nel mese di maggio la campagna di scavi che a partire dai mesi autunnali sta interessando il dosso di S. Ippolito a Castello Tesino.
Nei giorni scorsi l’assessore alla cultura Mirko Bisesti ha fatto un sopralluogo sull’area interessata dai lavori, accompagnato da Franco Marzatico, dirigente generale dell’Unità di missione strategica per la tutela e la promozione dei beni e delle attività culturali, da Emanuele Vaccaro, professore associato di archeologia classica dell’Università di Trento, da Franco Nicolis, direttore dell’Ufficio beni archeologici e da Graziella Menato, sindaca di Castello. L’indagine archeologica, in base a un protocollo, prevede la collaborazione della Provincia autonoma di Trento, del Comune di Castello Tesino e del’Università degli Studi di Trento.
«Un protocollo importante – questo il commento dell’assessore Bisesti – che sta già portando i primi frutti con le testimonianze che emergono dal terreno. È un luogo che può diventare importante per la conoscenza della nostra storia. Fare ricerca sulle nostre radici, sui popoli che abitavano il nostro territorio, rappresenta un valore per tutti i trentini e anche per le giovani generazioni».
Con la ricerca si vuole approfondire la conoscenza dei beni archeologici presenti nell’area e di cui è nota la presenza da quando, nel 1978, la Provincia promosse una campagna di scavi che permise di mettere in luce un contesto pluristratificato, con i resti di una frequentazione dell’età del bronzo connessa all’estrazione e lavorazione del rame e inoltre tracce di un successivo villaggio preromano, con la presenza di abitazioni in parte seminterrate e scavate nella roccia e strutture in materiale ligneo, come era tipico delle strutture residenziali della seconda età del Ferro (V e IV secolo a.C.). Erano stati inoltre rinvenuti materiali archeologici riferibili alla fase di romanizzazione (II-I secolo a.C.).
«In questa località – ha spiegato Marzatico – si sono ripresi gli scavi condotti negli anni ’70, che a suo tempo hanno portato alla luce delle case retiche, edifici quadrangolari, unifamiliari, con fondazioni scavate nella roccia. Gli scavi avevano già evidenziato inoltre delle presenze più antiche, del tredicesimo secolo avanti Cristo, riferibili alla produzione del rame. Gli scavi che sono ripresi gli scorsi mesi hanno confermato una frequentazione nel secondo-primo secolo avanti Cristo, all’epoca della romanizzazione. Inoltre la presenza di una cinta muraria e di numerosi contenitori in ceramica ci dimostrano che qui si abitava già a partire dal 1350 – 1200 avanti Cristo».
Con gli scavi realizzati lo scorso autunno – nello spazio verso est rispetto allo scavo precedente degli anni ’70 - ha evidenziato Emanuele Vaccaro - si sono messe in luce diverse strutture, in particolare un grande muro dell’età del bronzo, cui sono collegate stratificazioni che andranno ulteriormente studiate, e poi, più a monte, i resti di due edifici della seconda età del ferro, riferibili al popolo dei Reti. Molto interessanti, ha aggiunto, sono poi le tracce di romanizzazione del territorio, in particolare i materiali ceramici che sono stati trovati.