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Michele Cristoforetti è "Tutto in un brivido"

Immagine del redattore: il Cinqueil Cinque

Michele Cristoforetti



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di JOHNNY GADLER


Quando intervisti un cantante e in sottofondo senti delle voci e dei rumori, viene spontaneo pensare di averlo colto alla fine di una sessione di prove in studio o nel backstage di uno dei suoi video.

E non ti aspetteresti mai, invece, che ti confessi candidamente: «Mi trovo nel letto di un ospedale con una bella gatta da pelare e penso che sarà anche un po' lunga».

Il tutto, però, detto senza perdere neppure per un istante il buonumore, la grinta, la prospettiva dei propri progetti artistici e di vita, nonché l'innata empatia, un vero e proprio toccasana per chi ha la fortuna di possederla.

Questo è Michele Cristoforetti: un artista puro e schietto come se ne trovano pochi di questi tempi, fuori dagli stereotipi delle ipocrisie sociali, lontano anni luce dai capriccetti delle rockstar (o presunte tali!) e dai saccenti giudizi di critici prezzolati. Michele non è niente di tutto questo e appare perfettamente centrato, invece, sulla vita reale delle persone che incontra, siano esse fan delle sua arte piuttosto che passanti incrociati per caso.

Nell'attuale panorama musicale italiano Cristoforetti appare un raro diamante che brilla tra tanti cocci di vetro, dove circola più presunzione che talento, dove la molla sembra essere più una malcelata smania di successo che non la passione di creare musica per commuovere e comunicare.

Pertanto è un vero peccato che, nonostante i prestigiosi concerti d'apertura di alcune date dei tour di Vasco Rossi e dei Nomadi, questo Artista di casa nostra con la A maiuscola non abbia ancora raccolto tutto il successo che meriterebbe. Ma è solo questione di tempo, perché chi ha molto da raccontare e da dare come Michele, di certo non potrà essere ignorato dal grande pubblico ancora a lungo.

Noi l'abbiamo intervistato per farvelo conoscere meglio anche sotto il profilo umano, oltre che artistico.

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Michele, da poco è uscito il tuo nuovo singolo “Tutto in un brivido”. Ce ne parli?

«È un brano stilisticamente legato al più energico rock italiano, con una voce graffiante, un ritornello esplosivo e un sound estremo. Il brano è introdotto da un monologo scritto da me con Vanessa Grey, conduttrice e speaker radiofonica, e da Diego Spagnoli, direttore di palco di Vasco Rossi, che lo interpreta. Il testo è un grido di libertà e di rottura contro un sistema che spinge a sognare, ma non ammette errori e non concede passi falsi».


Com’è nato il pezzo?

«È nato dopo un colloquio con alcuni detenuti del carcere di Modena dove mi sono esibito. Del loro racconto mi ha colpito molto l'aspettativa di vita che non è stata esaudita. Il desiderio di raggiungere incondizionatamente un obiettivo talvolta li ha portati a percorrere delle direzioni sbagliate e dei sentieri che non erano i più appropriati. Il brano racconta la forza di vivere senza vergogna le frustrazioni, il sentirsi in colpa per aver sbagliato e le difficoltà che si incontrano quando si lotta per raggiungere i propri sogni. Con alcuni di loro sono poi rimasto in contatto, mi hanno scritto le loro storie che ti entrano nell’anima. Ma ognuno di noi, in realtà, è alla ricerca di un proprio brivido. Si chiama vita e dobbiamo vivercela a pieni polmoni».

Michele Cristoforetti

A proposito di detenuti, tu hai scritto una canzone anche per Chico Forti, l’ex produttore televisivo e velista trentino che da oltre vent’anni si trova in un carcere americano da innocente. Com’è nato quel brano?

«Conoscevo da tempo la storia di Chico, ma dopo aver visto un servizio televisivo su di lui, dove mostravano la condizione atroce in cui si trova detenuto nel carcere di Miami, rimasi molto colpito a livello umano dal suo carattere e dal suo carisma. Così scrissi una canzone che feci arrivare alla famiglia con la quale poi è nata una profonda amicizia. Speriamo che la vicenda si risolva quanto prima, intanto io tengo sempre accesi i riflettori sulla vicenda, proponendo il brano in ogni mio concerto, gridando il suo nome per ricordare al pubblico questa storia di malagiustizia».


Per te, quindi, la musica non serve solo a tenere compagnia, ma svolge anche un valore sociale, talvolta di denuncia?

«Assolutamente sì. Noi artisti spesso godiamo di tanti privilegi, ma dobbiamo anche ricordarci che abbiamo dei doveri. E quello di Chico Forti è un onere che mi sento di portare avanti affinché il pubblico conosca la sua storia e rifletta, perché potrebbe capitare a chiunque di ritrovarsi a vivere una situazione simile. La musica offre un forte canale comunicativo con il pubblico e noi artisti dobbiamo sfruttarlo per parlare di temi socialmente utili, poi è chiaro che alcuni brani si prestano meglio di altri».


Quanto conta per te il live?

«È fondamentale, perché rappresenta un tirare le somme di tutto ciò che hai fatto in studio. Solo quando guardi il tuo pubblico negli occhi capisci se sei riuscito o meno a far passare determinati concetti. Quella che scaturisce dal palco è un’energia bidirezionale, perché loro mi restituiscono quello che gli sto dicendo con dei feedback per me essenziali per eseguire il brano successivo o per scrivere una nuova canzone. Che ad assistere al concerto ci siano cento o più di centomila persone, com’è successo nelle date che ho fatto con Vasco Rossi, l’effetto non cambia. Per me è importante trovare l’empatia giusta, perché se io mi limitassi a cantare benissimo, ma senza lasciar scorrere le mie emozioni, non riuscirei ad entrare in sintonia e a comunicare con il mio pubblico».


Tu sei riuscito ad aprire alcune tappe del tour di Vasco grazie alla vittoria dell'Euregio Rock Contest. Pensi che oggi, grazie ai vari talent, per un artista sia più facile affermarsi rispetto al passato?

«Per certi versi sì, ma questi mezzi ora sono un po’ inflazionati, quindi c’è molta più competizione. E allora il difficile non è tanto raggiungere una certa notorietà, quanto saperla mantenere nel tempo, perché alla fine resta solo chi è ben strutturato e ha veramente qualcosa da dire. Molti ragazzi purtroppo credono che la vita dell’artista consista semplicemente nel presentarsi sul palco per il concerto e poi fermarsi a fare qualche selfie con i fan. Questi sono solo alcuni degli aspetti più piacevoli nella vita di un artista, ma la strada della musica non è mai lastricata d’oro, bensì si presenta sempre impervia, piena di insidie. Richiede duro lavoro, molta determinazione, spalle larghe e soprattutto tanto equilibrio con la propria testa».


C’è stato un momento in cui hai sentito che la musica per te non rappresentava più un hobby ma una ragione di vita?

«Sì, penso sia successo anni fa con un concerto che feci in un teatro di Egna. Lì compresi che tutta la mia vita girava ormai intorno alla musica e che era una cosa troppo bella per farla come semplice hobby. In quel momento mi riconobbi come un vero artista e compresi che nella mia vita non avrei potuto fare nient’altro che musica. Quello fu lo spartiacque in cui mi giunsero di colpo le risposte giuste a tutte le domande che mi ponevo fin dall'inizio».


La tua passione per la musica?

«È nata a 16 anni. Iniziai a suonare la chitarra da autodidatta, formando poi la mia prima band nel 2008. Da piccolo ascoltavo Guccini, De André, Bertoli, Fossati, che forse è il mio idolo più grande, insomma tutti i cantautori italiani. Poi sono stato rapito dal brit-pop inglese e ci sono ancora dentro. Ma da quando ho iniziato a creare la mia musica, ho scoperto anche varie influenze molto diverse fra di loro».

C’è una canzone italiana che avresti voluto scrivere tu?

«Ce ne sono tante che avrei voluto scrivere io, ma penso che Anime Salve di Fabrizio De André, canzone cui ho dedicato anche una tournée in teatro, mi rappresenti tantissimo. Me la sento addosso come fosse la mia pelle, ogni volta che l’ascolto, anche a distanza di tanti anni, mi emoziono. Del resto De André è stato un riferimento molto forte in tutta la mia crescita artistica e umana».


Caratterialmente come sei?

«Chi mi conosce dice che sono autentico, puro, vero, empatico. Io mi ci riconosco in pieno in questo ritratto perché è rispecchiato molto anche nella mia arte, nelle mie canzoni. Sono una persona attaccata alle cose molto semplici della vita: ai ristoranti stellati preferisco le osterie, non mi piacciono le persone troppo ossequiose e i giri di parole; mi piace la gente che parla chiaro, quelli che mi dicono le cose in faccia e che mi fanno stare bene solo per la loro presenza, facendomi vivere emozioni da brivido, tanto per restare in tema del mio ultimo brano. Insomma, mi piace trovare subito l'empatia sia con il pubblico sia con le persone che incontro per strada. Ho bisogno di questo contatto immediato e senza filtri, perché ho capito che è quello che mi fa stare bene».


Nei tuoi pezzi i testi sono sempre fondamentali, mentre nei video sei coautore delle regia. Hai mai pensato di realizzare un film o di scrivere un libro?

«Entrambe le idee mi affascinano. Sono un grande cultore di cinema e ora avrei anche una buona storia da proporre. Prima o poi lo farò. Sul libro, invece, ci sto già lavorando da un paio d’anni, mettendo insieme tutti gli stralci di vita che ho raccolto con Michele Rossi nelle varie esperienze con i detenuti di cui parlavo prima».


Tra le tue prestigiose collaborazioni vi è anche quella con Maurizio Solieri, storico chitarrista di Vasco e della Steve Rogers Band. Come nacque quell’incontro?

«Era una fredda domenica del 2016 e all’epoca facevamo le prove in una cantina a Borghetto di Avio. In un paio d’ore avevamo buttato giù testo e musica di Sigaro cubano, canzone che ha un mood un po’ reggeggiante. Il mio chitarrista Alessandro Piva, che con i suoi 14 anni era il più giovane della band, mi disse: “Sai che questo pezzo suonato da Maurizio Solieri sarebbe una bomba?». Io scherzando gli risposi: “Va bè Ale, allora scrivi una mail a Solieri!”. E lui lo fece veramente, inviandogli una registrazione fatta con il telefonino. Qualche settimana dopo mi arrivò una telefonata: “Pronto, sono Maurizio Solieri!”. Non ci potevo credere: da lì nacque la magia di quel featuring grazie al quale, per la prima volta, anche le radio ci diedero una certa visibilità».


Il complimento più bello che ti hanno fatto?

«Nel 2018 al Casinò di Sanremo in giuria c’era il cantante Dario Baldan Bembo, il quale dopo la mia esibizione venne sul palco e mi chiese un mio disco. Se penso che quel giorno c’erano un centinaio di ragazzi che volevano dargli i propri dischi e lui li rifiutò tutti chiedendo invece il mio, … bè, lo ricorderò per sempre».


Invece c’è qualche critica che ti ha particolarmente ferito?

«Tante, soprattutto all’inizio quando dicevano che scrivevo di un mondo tutto mio, che ero troppo intimo, che facevo testi troppo impegnati. Sono critiche che ho analizzato, mi hanno ferito ma anche fortificato. Ti faccio un esempio: ho appena finito una nuova canzone dal titolo Sei una stronza che pubblicherò a breve. Qualche tempo fa l’ho cantata in anteprima a Milano e al termine dell’esibizione la giuria mi ha detto: “Ma tu sei pazzo a portare un pezzo così, solo tu puoi farlo, nessuna radio la passerà mai”. Eppure, dopo poche note, tutte le persone presenti in sala si sono alzate per ballare, perché il brano ha una carica energetica talmente potente che ti trascina subito dentro. Altro che mondo tutto mio! Vedi la contraddizione che viviamo: un brano che fa subito ballare la gente, per le radio è un brano impassabile. Ecco perché oggi è difficile fare l’artista: ci sono troppi compromessi da metabolizzare. Dobbiamo seguire il pubblico o ciò che dicono i radiofonici? Bisogna ascoltare entrambi, ma poi io seguo me stesso, perché per diventare credibili occorre essere coerenti innanzi tutto con se stessi».


Michele, cos’è per te la musica?

«È tutta la mia vita, tolti i tempi morti».


Michele Cristoforetti

dalla cantina ad Avio

al palco di Vasco Rossi


La copertina di "Tutto in un brivido"

Nato il 14 gennaio del 1989 a Rovereto, Michele Cristoforetti a 16 anni inizia il suo percorso nella musica da autodidatta suonando la chitarra per poi consolidare la sua formazione musicale con la nascita nel 2008 della sua prima band. Il 2014 e il 2015 lo vedono protagonista della prima tournée teatrale in cui presenta dal vivo il suo primo album Muoviti. La scaletta dei concerti del tour Rock d’autore del 2016 è composta da una serie di brani dall’anima cantautorale unita a un’immancabile vena rock: L’Album delle Pose (2015), Il mio tempo (2016), Sigaro Cubano (2016), Muoviti (Remastered) (2016) e Capita che (Remastered) (2017). Nel 2018 gira l’Italia con Anime salve tour, in cui reinterpreta i brani contenuti nell’omonimo album di Fabrizio De André del 1996. Nel 2018 esce il suo EP, Ancora qui. Oltre a pubblicare i singoli Blake e Notti, nel 2021 dedica il brano Come stai (Per te Chico) a Chico Forti. A febbraio 2023, presso il Palazzo Benvenuti di Trento, esegue dal vivo Come Stai per l’inaugurazione della statua dedicata a Chico Forti, evento trasmesso in diretta televisiva su Rai 3 con la partecipazione video dello stesso Chico e di Andrea Bocelli. Nel 2022 pubblica 6 singoli, Blake, Notti, Mania, Bella paura, Libera, Live, Come si fa e Esagerato e nel febbraio dello stesso anno è invitato ad esibirsi con il suo brano Notti presso il Live Box di Casa Sanremo. La vittoria del contest Euregio Rock 2022 gli consente di aprire le tappe del VASCO LIVE 2022 a Trento, Milano e Ancona. Nel corso della stessa estate ha aperto i concerti dei Nomadi al Castelfolk Festival e al Monte Bondone Green Festival e le date di Riki e dei The Kolors nello spazio spettacoli del centro commerciale Porte di Roma.












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