top of page

Pergine. Lino Zeni e il suo Monopoli fatto a mano nel 1944







Lino Zeni, 91 anni compiuti il 22 aprile, di Pergine ma originario di Roncogno, ha ritrovato dopo decenni grazie alla sua famiglia in un vecchio cassetto il gioco “Monopoli” che aveva realizzato nel 1944 all’età di 10 anni. Aprendo il cassetto si è aperto anche lo scrigno dei ricordi


Lino, com'è nata l’idea di realizzare in proprio il Monopoli?

«Dopo i primi anni di scuola a Roncogno, frequentai la quinta elementare e la prima media nell’Istituto di Villa Moretta. Eravamo una ventina di studenti alloggiati a Villa Moretta, un istituto religioso fondato da due fratelli veneziani, i Conti Cavanis. Vedevo i miei compagni che giocavano con il Monopoli dell’Istituto e anch’io giocavo con loro, ne volevo uno tutto mio, ma costava troppo e non avevo i soldi per comprarlo. Così durante la scuola, nelle ore libere e poi durante le vacanze cominciai a costruirlo, con i pochi mezzi che avevo: un temperino, una tenaglia, una forbice, un seghetto. Realizzai le casette e gli alberghi di legno e poi li colorai, ritagliai le banconote scrivendo i testi una per una, feci anche la scatola con le divisorie per i vari pezzi del Monopoli. Ogni momento libero nella mia giornata lo utilizzavo per proseguire, un lavoro di pazienza, ormai mi ero messo in testa di farlo, impiegai due anni, ma alla fine riuscii a finirlo».


Quali le reazioni dei compagni e dei maestri?

«Alcuni compagni mi hanno qualche volta aiutato e una volta fatto, giocavano con me. I maestri non erano tanto contenti perché perdevo tempo anziché studiare. Ma alla fine mi fecero i complimenti».



Poi cosa successe?

«Proseguii la scuola a Possagno in provincia di Vicenza, paese dello scultore Canova, e portai il Monopoli con me. Era la mia dote, il mio bagaglio, era come avere un portafoglio a portata di mano e mi sentivo orgoglioso e in un certo senso anche “ricco”».


Quale la bellezza del gioco?

«È un gioco complesso, ma molto istruttivo. Me la cavavo bene anche come giocatore, anche in partite molto lunghe, il Monopoli ti coinvolge e ti appassiona. Si imparava molto, si poteva giocare in tanti, si compravano gli immobili, le proprietà terriere, avevi gli imprevisti, a quei tempi la vita era molto povera, non giravano soldi, ma a Monopoli era diverso. Ci si accontentava di quel poco che si aveva e c’era molta disciplina e correttezza, le parole dei superiori erano vangelo. Il Monopoli mi è servito anche nella vita, a usare bene i soldi, a risparmiare senza sprecare, lo scopo del gioco era il commercio, tu mi dai questo e in cambio di do quello, dipendeva tutto dalla domanda e dall’offerta e dai soldi fatti con il gioco».


E nel campo del lavoro come è andata?

«Ho fatto il corso di muratore diretto dal geometra Sergio Valcanover. In quei mesi noi studenti facemmo il bar delle “bale sante” il bar delle Acli di Pergine vicino all’oratorio. Lo facemmo gratis, come studenti. Quell’inverno trovammo anche un deposito di motori nascosto dai tedeschi, ma poi sparì. Poi iniziai a fare il piastrellista insieme a Cesare Anderle detto “Montelet”. Ho lavorato 50 anni con le piastrelle, un lavoro molto faticoso, sempre in ginocchio, ma sempre con tanta passione e impegno. Con il mio lavoro ho girato tutto il Trentino, mi spostavo prima con il mio vespone carico di attrezzi e poi appena potei comperai la macchina. Ho lavorato tanti anni in Val di Non dove ho trovato anche molti amici, mi volevano bene».


E la passione della musica?

«In Veneto quando studiavo ebbi la possibilità di suonare il pianoforte e con me anche due gemelli di Miola, i Giovannini. Mi piaceva tanto, ma dovetti smettere. Mi dedicavo troppo alla musica e trascuravo la scuola. Così decisero che dovevo smettere, niente musica e finì lì, purtroppo».


La fortuna più grande?

«Quella di avere una bravissima moglie Elisa. Ci conoscemmo che lei aveva 21 anni, io 33. Fu un colpo di fortuna che mi aprì gli occhi. Ci sposammo nel ‘68. Insieme andavamo in montagna a correre e a camminare, andavamo a ballare fino a poco tempo fa e abbiamo costruito la nostra bella famiglia, con le figlie Claudia e Tania e il primogenito Stefano e abbiamo 6 nipoti. Oggi mi guardo indietro e sono felice della mia vita, tanti anni duri ma sempre felice, come sono sempre stato, soprattutto delle piccole cose e quando sono con tutta la mia famiglia. Parliamo e ci divertiamo, ridiamo insieme e giochiamo a carte, mi piace molto… e quando possiamo stiamo insieme».


Giuseppe Facchini

bottom of page