di FRANCO ZADRA
Il Covid sembra ormai in ritirata, con uno strascico residuale che va presto riducendosi di settimana in settimana a un tasso medio anche superiore del 50% in meno, per quanto riguarda i nuovi casi di contagio da inizio pandemia, e i morti che in Italia sono stati quasi 200 mila, ora si attestano, con tendenza al ribasso, intorno ai 250 a settimana. In pratica è scomparso l’obbligo di usare la mascherina, come l’eccessiva preoccupazione per gli assembramenti, ma vi sono dei luoghi, come gli ospedali e, ancora di più, le Rsa, dove l’attenzione rimane alta e si adottano giuste misure e precauzioni specifiche nel prendersi cura e tutelare i degenti e gli anziani residenti.
SONO PERÒ DECADUTI quei divieti d’accesso, quella impossibilità ad avvicinare le persone che la pandemia aveva imposto, impedendo l’entrata non solo ai parenti più stretti, ma anche a quella schiera di persone che per un motivo o per l’altro interagiva con chi abitava le strutture assistenziali, interrompendo per un lungo periodo quell’interscambio tra interno ed esterno che per una serie di ragioni, educative soprattutto, e di civiltà – perché la ricchezza della nostra vita sono le relazioni che intrecciamo e manteniamo – è e rimane fondamentale per la vita e la cultura della nostra società.
Da un anno a questa parte nelle nostre Rsa le modalità di visita sono normalizzate e l’accesso è in genere consentito, entro le consuete fasce orarie, sette giorni su sette, senza più la necessità di prenotare le visite settimanali.
RIMANE TUTTAVIA l’obbligo di indossare la mascherina e la necessaria igienizzazione delle mani, l’opportuna indicazione di accedere un visitatore alla volta nelle stanze dei residenti che non possono essere portati nelle sale comuni, e la raccomandazione di evitare assembramenti, per delle visite che si possano svolgere in sicurezza e tranquillità per gli ospiti. Disposizioni che, come si può immaginare, saranno le ultime a scomparire, e allora rappresenteranno il vero segnale che la pandemia è solo un ricordo. Del resto, si potrebbe pensare, chi ha un motivo per visitare una Rsa è già informato di queste cose e sembra del tutto ridondante scriverle anche qui.
LE RSA, EVOLUZIONE delle “Case di Riposo”, istituti pubblici soggetti a un processo di verifica costante, sono un servizio di accoglienza residenziale dove la persona trascorre in maniera continuativa la sua vita, ed esistono per rispondere a un bisogno che è di tutti, nel senso che ciascuno di noi è in qualche misura coinvolto nel problema di assistere la vecchiaia dei propri genitori, o di qualche parente prossimo, fin anche a interessarsi, se non altro, della propria vecchiaia, di come sarà e di quali supporti troverà.
VORREMMO PERÒ tentare qui un qualcosa di diverso dal semplice evidenziare un bisogno che ci accomuna, con la relativa, forse scontata, chiamata a responsabilità dai toni “moralistici”. Vorremmo provare a riscoprire il valore che sta sotto questo bisogno, un valore, abbiamo provato a dire, che dobbiamo sforzarci di acquisire per una società sempre più “umana”.
INTENDIAMOCI, è importante sapere che la composizione della retta alberghiera, distinta dalla retta sanitaria, bloccata per quasi un decennio, per deliberazione della Giunta provinciale dal dicembre scorso, potrà essere aumentata fino a un massimo di 90 euro al mese, e che dunque le famiglie dei 4200 ospiti delle Rsa trentine dovranno pagare di più; come sarebbe anche bello indicare a mo’ di esempio virtuoso quelle quattro o cinque Rsa che questi aumenti non hanno inteso applicare, ma questo approccio, forse solo per una fisima di chi scrive, ci porterebbe ad appiattire il valore sul bisogno, e a monetizzare ciò che è di per sé non monetizzabile.
In quelle Rsa ci sono i nostri genitori, i nostri nonni, e tante persone che non conosciamo, che non possono mai in nessun caso essere raffigurate come un mero “costo” o un fardello pesante di cui si farebbe volentieri a meno.
UN BEL SEGNALE sulla possibilità di riscoprire il grande valore di una istituzione come la Rsa, ci viene, in modo indiretto ma non troppo, dal recente voto contrario alla legge di iniziativa popolare che in Veneto, voleva introdurre il suicidio assistito.
Per quanto si possa ritenere non più necessaria, per il livello di sicurezza raggiunto nella odierna medicalizzazione, l’antica e proverbiale indicazione rivolta a delle improvvide levatrici di “non gettare il bimbo con l’acqua sporca”, è comprensibile la preoccupazione di coloro che guardano a queste “avanches” liberaliste come a degli attacchi all’umanesimo che potrebbero dare mano libera ai decisori politici, così da adottare una “Endlösung” di coloro che verrebbero considerati “improduttivi” per mere ragioni di bilancio.
LONTANISSIME DA queste ombre cupe, anzi, dando al colpo d’occhio del visitatore una impressione di freschezza e aperta accoglienza che intende durare nel tempo, sono per noi la Apsp “San Lorenzo e Santa Maria della Misericordia” di Borgo Valsugana e la Rsa “San Valentino” nella Apsp Levico Curae di Levico Terme.
Dal 24 agosto scorso è presidente della Rsa di Borgo Emanuele Deanesi che si considera ancora un “novizio”, ma impegnato in un ascolto a tutto campo per contribuire al meglio a valorizzare quel capitale di conoscenza e di sapienza assistenziale che la Rsa ha accumulato negli anni.
«Un livello di eccellenza – dice Deanesi – lo hanno raggiunto tutte le case di riposo della bassa Valsugana, ma il valore aggiunto che rilevo nella Sanità trentina in particolare, è l’empatia che si crea tra gli operatori e gli ospiti residenti; altro valore aggiunto nella nostra casa di riposo è senz’altro la sua adiacenza all’Ospedale San Lorenzo. Negli anni ha portato il numero di ospiti a 86 – più due che sono in appartamenti separati e autonomi –, con molte stanze singole, divisi in vari nuclei, a cominciare dal nucleo “arcobaleno” dove trovano collocazione 14 “autosufficienti”, quegli ospiti cioè che avrebbero difficoltà a rimanere da soli in casa, ma non presentano patologie particolari, via via a salire nei piani divisi in nuclei a seconda delle esigenze, dove gli ospiti sono più o meno autonomi e manifestano una compresenza di bisogni sanitari e sociali, fino a “Non ti scordar di me” che è il nucleo dedicato alla demenza».
MICHELE BOTTAMEDI,direttore della Rsa di Levico Terme dal 2020, parla di una struttura radicata nella storia, originata dalle “Opere Pie” medievali «e, infatti – dice – l’edificio storico poi ristrutturato e tuttavia in corso di ampliamento e ristrutturazione, con la sopraelevazione dell’edificio centrale, risale al 1400. La nostra è la versione moderna di una gesto antico di cura e attenzione per gli anziani non più autosufficienti. Abbiamo disponibili 131 posti letto, due dei quali sono “privati”, che la nuova ristrutturazione non andrà ad aumentare».
«SI CHIAMA "CASA" – precisa Deanesi – ed è nostro impegno principale far sentire ogni ospite come “a casa”, cioè, ricostruire quell’ambiente familiare che avrebbero a casa loro se avessero la fortuna “sanitaria” di poterci rimanere. In questa “casa” l’ospite deve essere messo in grado di costruirsi le sue amicizie, i suoi legami, ma vi sono delle sinergie importanti anche con l’esterno. Sono molte le associazioni del territorio che interagiscono con i nostri ospiti, per esempio la bocciofila li coinvolge con regolarità nei propri tornei, ma anche gli Alpini sono spesso in Rsa, un plauso particolare va a l’Avuls che fa volontariato, direi, a tempo pieno».
LA DIVISIONE IN nuclei, come il funzionamento della Rsa, a Levico è strutturata in maniera analoga a quella di Borgo, ma chiediamo alla presidente della Rsa di Levico, Martina Dell’Antonio, di parlarci del recuperato rapporto con il territorio che è stato possibile mettere in atto nel post-Covid.
«Il clima di partecipazione – dice la Presidente – che si respirava prima della pandemia non è ancora del tutto recuperato, ma abbiamo ricominciato ad aprire ai volontari e ripreso molte delle attività di un tempo in collaborazione con la biblioteca, le scuole, e tante altre associazioni. Vorrei esprimere un particolare ringraziamento al Volontario con la V maiuscola che è il nostro don Franco Pedrini, sempre presente per tutti i nostri padroni di casa, come anche il coro delle volontarie. Rimangono alcune associazioni ed enti che vorremmo ritrovare, i pensionati per esempio, per ristabilire la collaborazione di un tempo».
«QUESTA DEL volontariato – aggiunge il direttore Bottamedi – è per noi una risorsa concreta, e per questo intendiamo avviare un corso specifico per volontari così da dare quella informazione di base che possa aiutare tutti a fare meglio, e strutturare il loro apporto in modo che si esplichi in concerto tra tutti gli operatori, perché il bene va fatto bene».
«QUI DA NOI – riprende la Presidente – non abbiamo avuto mai problemi nell’organizzare moltissime attività, anzi, ma la gravità delle persone che entrano adesso in casa di riposo è più alta. Una volta c’erano tante persone che entravano in condizioni fisiche migliori. Noi comunque puntiamo a riaprire sempre di più le porte, anche per metterci alle spalle il periodo della pandemia durante il quale, al di là dei decessi per Covid, molte persone si sono lasciate andare poiché disperavano di non poter più rivedere i propri cari. Ricostruire quella qualità e spontaneità nei rapporti che c’era prima della pandemia con i familiari di adesso, richiede uno sforzo in più dal momento che è venuta meno la consuetudine di tante occasioni in cui ci si incontrava. La partecipazione dei familiari è però sempre alta e anche nel periodo natalizio abbiamo avuto tanti bei risconti che ci hanno fatto apprezzare una volta di più quel valore che qui dentro ho sempre percepito, cioè, l’aver privilegiato il “lato umano” nella selezione di tutto il personale, fa la differenza».