Secondo un'indagine della Camera di Commercio di Trento nei primi tre mesi del 2020 in Trentino si sarebbe assistito a un crollo del fatturato del 7,8%. Dato vistoso che però potrebbe peggiorare notevolmente nel secondo trimestre, considerato che nei primi tre mesi dell'anno soltanto il mese di marzo è stato interessato dall'emergenza Coronavirus. A pagare il maggior scotto, com'era logico attendersi, ristoranti-bar, servizi alla persona, settore ricettivo e attività di intrattenimento... Per Giovanni Bort, Presidente dell’Ente camerale, i dati «fotografano una realtà altamente preoccupante e in prospettiva drammatica, se consideriamo che solo un mese di questo primo trimestre ha subito gli effetti dell’emergenza sanitaria».
TRENTO – La complessità della situazione di emergenza che l’economia trentina sta attraversando, ha sollecitato un’integrazione della classica indagine congiunturale trimestrale – che ha interessato un campione di 1.700 imprese per 805 rispondenti – con il coinvolgimento di 181 imprese (su 835 contattate) appartenenti ai settori degli alberghi, ristoranti-bar, attività sportive, ricreative e di intrattenimento e servizi alla persona.
Va sottolineato che, tra i primi tre mesi del 2020, solo marzo rientra nella fase di emergenza Covid-19 e che, molto probabilmente, saranno i risultati della prossima indagine congiunturale, quella attinente al secondo trimestre di quest’anno, a evidenziare le dinamiche peggiori. Nel primo trimestre del 2020 il fatturato complessivo realizzato dalle imprese esaminate diminuisce del 7,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta di una diminuzione molto sostenuta, ma non ancora drammatica, che interessa in maniera molto differenziata gli ambiti esaminati. I settori che denotano le perdite più significative di fatturato, rispetto al corrispondente trimestre del 2019, sono le attività sportive, ricreative e di intrattenimento (tra -25% e -35%), i ristoranti-bar (tra -24 e -32%), i servizi alla persona (tra -23 e -27%) e il ricettivo (tra -21% e -25%).
Altri settori caratterizzati da contrazioni significative del fatturato, ma meno rilevanti, sono: l’estrattivo (-17,4%), gli impianti a fune (tra -8 e - 12%), il manifatturiero (-7,5%), le costruzioni (-6,5%), il commercio al dettaglio (-6,3%) e i trasporti (-5,3%). Perdite più lievi riguardano invece i comparti del commercio all’ingrosso (-1,8%) e dei servizi alle imprese (-0,6%).
L’occupazione, che include anche i dipendenti attualmente beneficiari degli ammortizzatori sociali, si riduce complessivamente del 3%. Si tratta di un dato complessivo fortemente condizionato dall’andamento dei settori più colpiti da questa prima fase di crisi, come quello ricettivo (tra -14 e -18%), i ristoranti-bar (tra -12% e -16%), i servizi alla persona (tra -9% e -13%) e le attività sportive, ricreative e di intrattenimento (-10% e -12%).
Se invece si considerano i settori tradizionalmente esaminati dall’indagine congiunturale, la diminuzione risulta più contenuta e pari a -0,7%. Limitatamente ai settori esaminati nell’indagine congiunturale classica, per i quali è disponibile un patrimonio informativo più ampio, è possibile rilevare ulteriori aspetti.
Le esportazioni denotano un vero e proprio crollo con una diminuzione del 10,5%. La variazione tendenziale del fatturato risulta molto negativa per le unità di piccola e media dimensione. Nello specifico, le imprese con meno di 10 addetti presentano una contrazione del 6,9%, mentre quelle con un numero di addetti compreso tra 11 e 50 registrano una flessione del 7,5%. Più contenuta la diminuzione che caratterizza le grandi imprese, con oltre 50 addetti (-3,6%).
Le ore lavorate di gennaio e febbraio presentano delle deboli oscillazioni rispetto agli analoghi mesi del 2019, rispettivamente pari a -0,6% e +2,2%, mentre nel mese di marzo si rileva, come prevedibile, un crollo pari a -25,6%. Gli ordinativi diminuiscono del 4,5%, con riduzioni sensibili nel settore dei trasporti e del manifatturiero.
Accanto alle domande sull’impatto economico, alle imprese sono stati rivolti, tra l’inizio di aprile e l’inizio di maggio, anche alcuni quesiti qualitativi supplementari per indagare aspetti specifici, determinati dall’emergenza Covid-19. Quasi la metà delle imprese (48,4%) ritiene che la propria situazione finanziaria sia positiva, ma in peggioramento, una percentuale molto consistente (27,7%) la ritiene precaria, l’11,1% la giudica fortemente negativa e il 12,8% la considera solida. Il quadro complessivo appare quindi caratterizzato da una situazione difficile ma, per la grande maggioranza delle aziende, non ancora critica nell’immediato e tuttavia esposta a un ulteriore deterioramento. La scomposizione delle risposte per classe dimensionale delle imprese mette chiaramente in evidenza che le difficoltà finanziarie aumentano proporzionalmente al diminuire della dimensione d’impresa.
Il 44,9% delle imprese con 1-10 addetti denotano una condizione precaria o fortemente negativa, contro il 15,4% delle imprese con oltre 50 addetti. Il 61,9% delle imprese coinvolte nell’indagine dichiara di aver dovuto ricorrere agli ammortizzatori sociali per i propri dipendenti, percentuale che sale oltre il 70% per il settore del manifatturiero, delle costruzioni e della bar-ristorazione. Le imprese hanno fatto massicciamente ricorso, o stanno valutando di farlo, a una serie di misure di sostegno predisposte a livello nazionale e locale.
Finora, lo strumento più utilizzato è l’indennizzo INPS di 600 euro (38,6%), seguito dalla sospensione/rinegoziazione delle rate dei mutui (26,4%) e dall’attivazione di nuove linee di credito con sostegno pubblico (18,2%). Le aziende sembrano invece meno interessate alla liquidazione di polizze assicurative o alla sospensione dei rimborsi dei prestiti non rateali (fido o carta di credito). Se si considera la classe dimensionale delle imprese si evidenzia che quelle più piccole hanno utilizzato in maniera intensiva l’indennizzo INPS da 600 euro, mentre al crescere della dimensione aziendale si è fatto maggiormente ricorso alla sospensione/rinegoziazione delle rate dei mutui.
In considerazione della situazione economica venutasi a creare e delle misure restrittive poste dal Governo, quasi la metà delle imprese che compongono il campione ha introdotto strategie innovative per fronteggiare in tutto, o in parte, l’emergenza. La strategia in assoluto più impiegata è il ricorso al lavoro agile (37,0%), seguita dall’attivazione di nuove modalità di relazione con il cliente (es. consegna a domicilio) (23,0%). Meno praticate sono la realizzazione di nuove campagne pubblicitarie (12,1%), il potenziamento della vendita on-line (10,2%), la riconversione di parte dell’attività produttiva (7,5%) e la ricerca di nuovi fornitori (4,6%). L’attivazione di nuove modalità di relazione con il cliente è una strategia perseguita prevalentemente dalle imprese più piccole (1-10 addetti), mentre l’impiego dello smart working è adottato soprattutto dalle imprese medie e grandi.
«I dati elaborati dall’Ufficio studi e ricerche della Camera di Commercio di Trento – ha commentato Giovanni Bort, Presidente dell’Ente camerale – fotografano una realtà altamente preoccupante e in prospettiva drammatica, se consideriamo che solo un mese di questo primo trimestre ha subito gli effetti dell’emergenza sanitaria. La situazione ci impone di essere pratici: non possono essere sufficienti i provvedimenti che differiscono il pagamento delle tasse; le imprese hanno bisogno di liquidità e contributi a fondo perduto per compensare i mancati introiti».
«Il lavoro di rilevazione dello stato di salute dell’economia trentina, curato dalla Camera di Commercio – ha spiegato Achille Spinelli, Assessore provinciale allo sviluppo economico, ricerca e lavoro – è fondamentale per capire la portata della crisi che ha investito la nostra economia. La Provincia ha recentemente approvato la Legge 3 e ne sta definendo i decreti applicativi per dare un supporto effettivo soprattutto alle piccole e micro imprese, che in Trentino costituiscono oltre il 90% del tessuto economico. È nostra ferma intenzione procedere in base a linee guida che privilegino la ripresa del lavoro in piena sicurezza e garantiscano una protezione sociale, lontana da possibili forme di assistenzialismo».